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Sono note storie, leggende e filastrocche popolari sulle statue dei re che si trovano sulla facciata di Palazzo Reale di Piazza del Plebiscito. Furono inaugurate nel 1890, dopo un bando pubblico indirizzato ad artisti di tutto il neonato Regno d’Italia.

Si racconta che al Re Umberto non piacquero per nulla, tanto da fargli esclamare un secco “queste statue sono orribili!“. Ma questa storia l’abbiamo raccontata qui.

Le statue sono omaggi ai capostipiti di ogni dinastia che ha regnato su Napoli, a partire da Ruggiero il Normanno arrivando a Vittorio Emanuele II. Ripercorriamo allora nei loro volti una storia lunga otto secoli.

Ruggero il Normanno (Mileto, 1095 – Palermo, 1154)

Ruggero il Normanno

Non fu il primo normanno nei territori meridionali, ma passò alla Storia per aver unificato tutti i piccoli regni del Sud Italia che, sin dai tempi della caduta dell’Impero Romano, vissero in lotta fra loro, divisi fra Goti, Bizantini e Longobardi. In questo caos c’era il piccolo Ducato di Napoli che riuscì a resistere fino al 1137, sopravvivendo al crollo di giganti come il Ducato di Benevento, che nell’Alto Medioevo dominava l’intero Sud Italia.

Napoli cadde in mano a Ruggero il Normanno per un errore commesso 100 anni prima: aveva regalato la vicina Aversa proprio ai normanni.

Correva l’anno 1029 e il duca di Napoli Sergio IV fu spodestato e cacciato da Napoli. Per riconquistarla chiese aiuto a Rainulfo Drengot, un condottiero straniero conosciuto a Gaeta, che intervenne con l’esercito per . Sergio volle ringraziarlo donandogli il territorio di Aversa, che presto cominciò a raccogliere un quantitativo impressionanti di “nordmannaer”, gli uomini del nord. Ottant’anni dopo, con nuovi uomini e nuove alleanze, la città diventò un avamposto perfetto da cui far partire gli assalti normanni al piccolo ducato, che si difese con onore per circa trent’anni, fino alla caduta dell’ultimo duca, Sergio VII.

A dispetto dei pregiudizi storici sui barbari, Ruggero il Normanno fu un re scaltro e attento alla cultura. Erano ormai remoti i tempi dei vandali e di Attila: i nuovi uomini venuti dal nord erano sì rozzi nelle maniere, ma raffinati nel pensiero e molto attenti alle eredità culturali dei territori. Lo dimostra la promulgazione di numerosi atti legislativi nelle Assise di Ariano, in cui diede per la prima volta una costituzione e delle leggi al regno. Per la prima volta fu anche sancito il principio di territorialità della legge, che ancora adesso è un fondamento del diritto.
Ai tempi di Ruggero il centro del mondo si chiamava Palermo e la Sicilia rimase il centro del regno con Napoli che, prima degli Angioini, non aveva importanza politica. L’altro grande merito dei normanni fu quello di definire, per la prima volta, i confini del Sud Italia, che rimasero pressoché uguali fino al 1861.

Federico II di Svevia (Jesi, 1194 – Torremaggiore, 1250)

Federico II di Svevia statue

Stupor mundi. Uno dei più brillanti, geniali e carismatici uomini della storia medievale. Federico II fu protagonista della Storia d’Italia per cinquant’anni in cui partecipò a crociate, si ribellò al Papa, diventò per alcuni l’anticristo e per altri il messia. Fu il fondatore della prima università laica del mondo a Napoli. Amava la cultura in ogni sua forma, era un profondo estimatore delle scienze arabe e si circondò di intellettuali finissimi, gli stessi che lo aiutarono nella stesura delle Costituzioni di Melfi, che di fatto furono uno dei più importanti e moderni testi giuridici dell’epoca. Disegnava la forma dello Stato, definiva regole e politiche economiche, individuava obblighi e doveri dei sudditi.

Federico, come i suoi predecessori, aveva la sua corte a Palermo e proprio in Sicilia incoraggiò lo sviluppo della poesia in lingua italiana, anticipando di un secolo l’uso del toscano come lingua “volgare”. Fu molto attento anche alle altre province del suo vasto regno, che fortificò con un complesso sistema di castelli e torri di guardia (molte di queste sono sopravvissute, specialmente in Puglia e Campania). Fu in continuo contrasto con i Papi, che temevano il suo spirito indipendente e fu scomunicato due volte. Proprio il Papa riuscì infatti a fermare Federico II alleando tutti i comuni contrari all’imperatore: nel 1248 a Bologna fu imprigionato e ucciso Enzo, il figlio, e lo stesso re morì nel 1250.

Carlo D’Angiò (Parigi, 1226 – Foggia, 1285)

Carlo d'Angiò

Gli angioini giunsero in Italia dalla Francia sfruttando il caos in cui era caduto il Regno di Sicilia dopo la morte di Federico II. Fu proprio il Papa Innocenzo IV a chiamarli per sostituire l’eretico Federico II e per assicurarsi vicini di casa fedeli e tranquilli. Della fedeltà dei francesi alla Chiesa, infatti, nessuno dubitava. Carlo fu quindi incoronato “d’ufficio” a Roma nel 1266 come Re di Sicilia.

Il successore di Federico II fu Manfredi, che non accettò questo smacco. Le sue ambizioni di riconquistare il Sud Italia si scontrarono con il destino in una battaglia sul fiume Calore, in cui fu ferito a morte. L’ultimo erede degli Hohenstaufen rimase quindi Corradino, di appena 16 anni. Fu giustiziato brutalmente a Piazza Mercato.

Il gesto storico che fece Carlo fu spostare la capitale del regno a Napoli, proclamandosi per la prima volta “Re di Napoli”. La città era infatti perfetta per soddisfare le mire espansionistiche del francese, ma a farne le spese fu la Sicilia, che non la prese affatto bene.

Nella politica interna fu spietato e autoritario: ben consapevole dei complotti e dei tranelli della nobiltà napoletana, fece piazza pulita dell’intera classe dirigente del Regno. Rispetto al suo successore, Roberto “il Saggio”, Carlo fu temuto ed odiato dai nobili della precedente generazione e da molti suoi sudditi. Lasciò una scia di sangue in tutta Italia per garantirsi il potere e per sopprimere tutte le rivolte all’interno del regno. Probabilmente la scelta di preferire Napoli a Palermo fu la ragione che portò prima ai Vespri Siciliani e poi, poco dopo, all’arrivo degli Aragona che conquistarono la Sicilia, di fatto separando i due regni.

Carlo d’Angiò non si sentì mai italiano: volle infatti essere seppellito a Parigi, dove si trova ancora oggi.

Alfonso d’Aragona (Medina del Campo, 1396 – Napoli, 1458)

Alfonso IV d'Aragona

Dopo la morte di Ladislao di Durazzo, uno dei re più ambiziosi ed enigmatici della storia di Napoli che avrebbe meritato una statua a parte, il regno cadde di nuovo nel caos. Con lui morirono anche le speranze di Napoli di diventare lo stato egemone nella penisola italiana.

Era l’anno 1414 e la nuova regina, Giovanna II, si trovò davanti a un panorama politico rovente. Prima nominò Gran Siniscalco il suo amante, Sergianni Caracciolo, che di fatto governava il regno. Poi, con un colpo di scena, per sfuggire alle congiure dei baroni di Napoli che speravano in un ritorno degli Angioini dalla Francia, la regina (che non aveva figli) nominò suo erede il giovanissimo Alfonso di Catalogna, già re di Sicilia.

Alfonso giunse quindi a Napoli in attesa dell’incoronazione ma, con un improvviso cambio di idea, la regina revocò la disposizione e nominò Luigi III di Francia come legittimo erede. La sorpresa avvenne davanti agli occhi di Alfonso, che tornò in Sicilia infuriato. Ne seguirono dieci anni di guerra intestina all’interno della livorosa nobiltà napoletana, divisa fra tanti schieramenti, e di guerra sui campi di battaglia fra i francesi e i catalani che si contendevano il trono del Maschio Angioino.

Giovanna cambiò più volte idea, prima affidandosi ai francesi e poi invocando gli spagnoli: il trono non trovava pace. Alla fine ebbe la meglio Renato d’Angiò detto “il buono”, fratello del sovrano francese. Alfonso, però, Napoli l’aveva vista, sognata e visitata: la voleva.

Il catalano cinse d’assedio la città e la conquistò sfruttando un trucco che riuscì bene anche a Belisario, ben 1000 anni prima: passò per un pozzo e sbucò dalle parti di Santa Caterina a Formiello con i suoi soldati. Proprio come i bizantini mise a ferro e fuoco Napoli.
La vittima illustre fu il Maschio Angioino, che fu raso al suolo e poi ricostruito nelle sue forme attuali, come “Castel Nuovo”.

Il governo di Alfonso, nonostante un inizio violento, fu illuminato ed accorto e, durante il suo regno, Napoli diventò un grande centro di cultura.

Carlo V d’Asburgo (Gand, 1500 – Cuacos de Yuste, 1558)

Uno degli uomini più potenti del mondo, colui che rappresentò l’inizio del complesso periodo del Viceregno di Napoli.

Ottenne il Regno di Napoli grazie ad un complesso intreccio di matrimoni fra casate e lo affidò al viceré Don Pedro di Toledo, suo braccio destro. La reggenza di Pedro fu un momento fondamentale della storia di Napoli: ridisegnò completamente l’assetto urbanistico della città, con Via Toledo e i Quartieri Spagnoli, spostò l’amministrazione della giustizia spostando i tribunali nel normanno Castel Capuano. Fu anche durissimo nella repressione dei sempre presenti malumori della nobiltà napoletana; introdusse a Napoli la ferocissima Inquisizione Spagnola, ma il suo progetto non ebbe successo.

Sotto il periodo di Carlo V, più per responsabilità di Pedro di Toledo che del sovrano asburgico, il centro storico di Napoli assunse una forma molto simile a quella attuale.

Carlo di Borbone (Madrid, 1716 – Madrid, 1788)

A Napoli volle chiamarsi solo Carlo (senza il numerale VII) per sottolineare il nuovo corso politico e la riguadagnata indipendenza. Fu uno dei re più amati, innovatori e riformisti che giunsero in città. Era il terzo figlio di Filippo V di Spagna e il primo di Elisabetta Farnese: fu proprio grazie alla madre che ottenne il trono di Napoli, con una condizione: sarebbe tornato a Madrid in età avanzata.
La Spagna riottenne con Carlo l’influenza sul Regno di Napoli e di Sicilia nel 1734, sottraendolo al disastroso ventennio austriaco.

Durante il suo governo la città ebbe un immenso balzo in avanti sotto ogni aspetto: politico, sociale ed economico. Il re agì eliminando gli antichi privilegi feudali che resistevano sin dai tempi del Medioevo (il lavoro lo completerà poi Gioacchino Murat), innovando il sistema economico, riformando completamente la classe politica e limitando di nuovo i privilegi di quella nobiltà cittadina che, sin dai tempi di Federico II, con i suoi complotti ha fatto il bello e il cattivo tempo dell’intero Regno.

A Carlo di Borbone sono dovuti alcuni dei gioielli architettonici più belli di Napoli, dal Teatro San Carlo alla Reggia di Capodimonte, senza dimenticare la Reggia di Caserta, Portici, Il Foro Carolino, l’Acquedotto Carolino, il Real Albergo dei Poveri e l’inizio degli Scavi di Pompei.

Anche il fermento artistico che caratterizzò quel periodo di benessere fu notevole, dalla musica alla pittura.

Gioacchino Murat (Labastide Murat, 1767 – Pizzo Calabro 1815)

Fra le statue, la sua è la più emozionante: è ritratto con una mano al petto perché, quando fu giustiziato, disse: “risparmiate il volto, mirate al cuore: fuoco!“.

Murat si ama o si odia. Un carattere impetuoso e coraggioso, assetato di libertà e indipendenza. Per questi valori lottò e morì, senza mai ritirarsi anche rendendosi responsabili di azioni sfrontate.

Era l’undicesimo figlio di un albergatore umilissimo di Parigi. Si distinse per la sua intelligenza tattica e per il suo coraggio durante la Rivoluzione Francese, tanto da essere notato da Napoleone. I due diventarono amici e compagni d’arme e lo stesso Imperatore lo nominò re di Napoli nel 1808, al posto di Giuseppe Bonaparte.

Introdusse a Napoli il Codice Napoleonico, legalizzando per la prima volta il divorzio; fondò la prima facoltà d’Ingegneria e il primo corpo di Pompieri d’Italia; avviò immense opere pubbliche come “Corso Napoleone” (oggi Corso Amedeo).

Murat amò talmente tanto il suo regno che, addirittura, arrivò a tradire Napoleone alleandosi con l’Austria pur di mantenere il suo trono. L’Austria, a sua volta, tradì Murat appoggiando i Borbone di Napoli durante la restaurazione.

Fu così che Murat si lanciò in un ultimo disperato assalto alla baionetta contro il mondo intero: nel 1815 a Rimini dichiarò addirittura cominciata la guerra per l’unificazione d’Italia, sognando di trasformare Napoli capitale di un regno unito.
La sua vita finì però in un ennesimo tradimento, che lo portò alla cattura e alla fucilazione in Calabria.

Ne abbiamo parlato più a lungo in questa storia.

Vittorio Emanuele II (Torino 1820 – Roma 1878)

Con un salto di cinquant’anni. La sua è la più singolare delle statue: essendo più bassa delle altre ed avendo la spada sguainata, è stata bilanciata con un baricentro diverso che lo costringe ad uscire dalla nicchia. Questa scelta stilistica sdegnò particolarmente Umberto I.

Vittorio Emanuele è ricordato come un un uomo rozzo e dai modi semplici e sbrigativi. Fu circondato da intellettuali fuggiti da tutta Italia che videro in lui la possibilità di unire l’Italia e da diplomatici eccellentissimi, come Cavour, che riuscirono a tessere una tela di rapporti diplomatici che portarono il piccolo Piemonte sui tavoli d’Europa.

Il re piemontese visitò Napoli solo in un’occasione, dopo essere diventato re d’Italia. Ben diversa fu invece l’esperienza del figlio Umberto I, che fu particolarmente affezionato a Napoli (nonostante sia stato vittima di più di un attentato!).

La sua influenza sui territori dell’antico Regno di Napoli non è ricordata positivamente: fu lui a firmare la “legge sulla repressione del Brigantaggio”, ovvero la legge Pica del 1865, che istituì tribunali speciali. Anche la scelta di non cambiare il nome dopo l’Unità, rimanendo Vittorio Emanuele II e non “I”, come invece fece Ferdinando IV in occasione della nascita del Regno delle Due Sicilie, ha fatto molto discutere gli storici.

Vittorio Emanuele riuscì però nell’impresa che nessun altro monarca aveva mai portato a termine prima, frutto di congiunzioni storiche inaspettate come la morte di Ferdinando II che destabilizzò il Regno delle Due Sicilie, grazie allo sfruttamento di una figura carismatica come Garibaldi, che fino a pochi anni prima era odiato dagli stessi politici piemontesi.

Di fatto, con Vittorio Emanuele terminò l’indipendenza di Napoli, che diventò per la prima volta una provincia. Iniziò così il nuovo corso storico dell’Italia unita. E così finiscono anche le nicchie di Palazzo Reale.

Quando passiamo frettolosamente sotto le statue, stiamo camminando in pochi metri sotto l’ultimo millennio di Storia di Napoli.

-Federico Quagliuolo

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Riferimenti:
Napoli Ducale, Mario Forgione
Storia di Napoli, Vittorio Gleijses
Storia di Napoli, Benedetto Croce
Storia di Napoli, Antonio Ghirelli
https://www.treccani.it/enciclopedia/federico-ii-di-svevia_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/
https://www.stupormundi.it/it/carlo-i-dangi%C3%B2
https://www.treccani.it/enciclopedia/alfonso-v-d-aragona-re-di-sicilia-re-di-napoli_(Dizionario-Biografico)/

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