Quante persone possono dirsi di aver visto episodi, carriere, vite stroncate per essersi trovate semplicemente nel posto sbagliato e nel momento sbagliato?
Francesco II di Borbone potrebbe dar lezione a chiunque in termini di sfortuna e destini tragici.
Era un uomo dal carattere umile, silenzioso e remissivo, estremamente simile al nonno da cui aveva ereditato il nome, Francesco I. Era di una religiosità talmente profonda da finire quasi nel monachesimo. Di bella presenza, magro e sempre molto elegante: fisicamente l’opposto di tutti i suoi antenati, che invece erano di stazza abbastanza ingombrante. Diventò re a soli 24 anni ereditando una vera e propria bomba che trasformò la sua vita, cominciata sotto la luce di un erede al trono, in una eterna tragedia fra battaglie, ritirate, lutti, calunnie ed un lunghissimo esilio.
Una guerra in casa
La carriera del giovane re cominciò già in salita nel momento stesso in cui il padre lasciò il trono improvvisamente. Francesco II aveva solo 24 anni e, mentre un giovane di oggi a quest’età pensa alla laurea, al futuro e alla carriera, lui si trovò a gestire la politica di uno Stato sul punto di esplodere. La storia ci insegna che la classe politica napoletana è sempre stata incline all’autodistruzione, impantanandosi fra litigi, fazioni e sfrenate ambizioni personali. E così, se ai tempi di Ferrante I il regno viveva continuamente in guerra fra le fazioni angioine e aragonesi, 400 anni dopo il mondo politico sembrava non essere cambiato di una virgola: c’erano solo nomi diversi. D’altro canto, il clima internazionale era ben diverso e le relazioni con l’Inghilterra, interrotte da Ferdinando II bruscamente, lasciarono in mano al figlio una voce troppo piccola per essere ascoltata.
Anche i suoi predecessori erano stati a loro modo più fortunati: Ferdinando IV diventò re a 9 anni, ma per 20 anni fu assistito da uno statista geniale come Bernardo Tanucci, con alleanze potenti a salvare lo Stato e Carlo III che guardava da lontano le vicende di Napoli. Francesco II si trovò invece con consiglieri ultrasettantenni e litigiosi e addirittura con la sua stessa famiglia contro: la matrigna, seconda moglie di Ferdinando, aveva un carattere duro e non guardava di buon occhio la moglie appena diciottenne e dal carattere sveglio e volitivo, con cui finiva in continue litigate.
Il tricolore borbonico
L’anno era il 1860 e Francesco II cercava in modo disperato di fermare l’inevitabile. Anche se Garibaldi non era ancora partito verso la Sicilia, nella borghesia liberale napoletana c’era aria di fermento, quella che precede i grandi eventi. Era chiaro a tutti che presto il regno sarebbe imploso a causa degli stessi napoletani.
Francesco II allora promosse una serie di riforme straordinarie per cercare di dimostrare il nuovo corso del regno: introdusse un tricolore italiano come bandiera di Stato, nominò un governo quasi completamente liberale, richiamando in patria tutti gli esiliati fra cui Liborio Romano, Raffaele Conforti e altri, e congedò tutti i reparti svizzeri dell’esercito. Le ultime due mosse, realizzate con l’influenza di cattivi consiglieri, furono un vero suicidio: da un lato i politici rientrati da Torino furono degli infiltrati perfetti nel governo di Napoli, dall’altro i reggimenti svizzeri dell’Esercito erano i più fedeli al re, oltre ad essere anche in grande numero. Il Regno perse un’immensa forza militare.
E mentre il Piemonte dell’esperto conte di Cavour continuava ipocritamente a rassicurare Napoli che nessuno avrebbe toccato la sovranità napoletana, si preparava l’inevitabile scontro. Arrivò anche un trattato di alleanza con Vittorio Emanuele, che chiamava ironicamente Francesco II “il mio caro cugino napoletano”.
Francesco II di Borbone e la battaglia di Gaeta
Il regno era ormai compromesso e il giovane Francesco lo aveva capito bene. Garibaldi stava risalendo a lunghi passi la Calabria e Napoli si stava preparando ad una battaglia sanguinosa, ben più grave di quella che fece cadere Palermo pochi mesi prima. Fu in quel momento che bussò alla porta del sovrano il ministro della polizia Liborio Romano. Ci fu un lungo e drammatico confronto fra i due, con il giurista leccese che convinse Francesco a lasciare Napoli per risparmiare alla città uno scontro che avrebbe distrutto monumenti e migliaia di vite. Pare che, prima di partire verso Gaeta, Francesco II abbia detto: “Don Liborio, guardateve ‘o cuolle!”. Un’esclamazione che suonava come per dire: “un giorno sarai tradito anche tu dalle persone che appoggi“.
Fu così che a Gaeta, l’ultima roccaforte del Sud Italia sin dai tempi del Ducato di Napoli, finì l’avventura del Regno delle Due Sicilie: arroccati sulla fortezza marina c’erano i brandelli dello Stato creato da Ruggiero il Normanno e a difenderlo erano due ventenni e un esercito di 10.000 uomini, con Francesco II che continuava a cercare ostinatamente aiuti diplomatici in tutta Europa e la regina Maria Sofia, vestita con una giubba militare, che distribuiva coccarde e cercava di tenere alto il morale delle truppe, anche se era difficile essere ottimisti quando i soldati vedevano arrivare dal mare bombardamenti da navi napoletane passate al nuovo governo. L’assedio del generale Cialdini durò quasi 6 mesi, dal 5 novembre 1860 al 13 febbraio 1861. Finì con un territorio devastato e con l’economia agricola di Gaeta, basata principalmente sugli ulivi, che impiegò più di vent’anni per riprendersi.
Un esilio e la fine della dinastia
1861: Gaeta era persa, il regno era finito, tutti i beni dei Borbone requisiti da Garibaldi. Ogni sforzo diplomatico frustrato e la Russia, unica alleata del Regno delle Due Sicilie, aveva fatto orecchie da mercante.
L’ultimo tentativo di recuperare il Regno delle Due Sicilie fu nei 9 anni in cui visse a Roma, ospite di Papa Pio IX: fu tutto inutile. Poi i bersaglieri arrivarono a Porta Pia. E di nuovo, per i piemontesi, fu costretto ad andar via, verso la Francia.
La storia non è fatta dai “what if” delle saghe Marvel: non possiamo immaginare come sarebbe stato uno Stato delle Due Sicilie sotto Francesco II o sotto Maria Sofia che, fino alla sua morte nel 1925, lottò con ogni fibra del suo corpo per far cadere i Savoia. Anche lei era però legata a un mondo ormai perdente davanti al tribunale della Storia: l’Austria fu smantellata dopo il 1920.
Fu l’ultimo colpo al cuore anche per la donna, che lasciò il mondo senza eredi, dato che l’unica figlia, Maria Pia, morì a soli tre mesi.
Un esilio durato cent’anni, fra calunnie e propaganda
Sul finire dell’800, mentre Napoli veniva ricostruita da capo sotto il piccone del Risanamento, si aggirava fra la Francia e l’Austria un malinconico signore dal portamento elegante e dall’aria triste. Si dice che, negli ultimi anni, Francesco II avesse anche smesso di parlare, se non con gli amici fidati. Il Governo Italiano gli propose la restituzione dei beni e la possibilità di tornare a vivere a Napoli, a patto di rinunciare ufficialmente alla pretesa al trono.
Francesco II rispose piccato: “il mio onore non è in vendita“.
E morì il 27 dicembre 1894 ad Arco, in un Trentino che non era ancora italiano, durante una delle cure termali necessarie per risollevare la sua pessima salute. Oltre ad avere problemi polmonari, infatti, soffriva anche di diabete.
D’altronde, la figura pubblica di Francesco II era compromessa in Italia. La cronaca e la storiografia dei primi anni dell’Unità, spesso realizzata da firme napoletane, umiliarono il sovrano dandogli il nome di “franceschiello“, riducendo la sua vita ad aneddoti ridicoli, dal “Re Lasagna” per il suo piatto preferito alla sua presunta impotenza. Le calunnie arrivarono anche con iniziative grottesche come le finte fotografie pornografiche della regina.
Dopo la morte nemmeno trovò pace: la casa di Borbone-Due Sicilie, cent’anni dopo la sua morte, si divise in una lotta dinastica ancora oggi vivissima, mentre il corpo dell’ultimo re napoletano fu sballottato per tutta Italia: prima ad Arco, dove c’è ancora una lapide, poi a Trento, poi ancora nel 1938 a Roma e infine, nel 1984, è stato trasferito in una cripta nella nuova Santa Chiara, dove si è riunito con la sua famiglia.
Al netto dei giudizi politici e storici sull’uomo che affrontò da giovanissimo un vero e proprio tsunami della Storia, la storia non poteva non finire nell’antichissima chiesa voluta da Roberto d’Angiò per tutti i re delle Due Sicilie.
Nel recente 1984, con la traslazione delle ossa dell’ultimo re di Napoli, si è chiuso simbolicamente il cerchio di un’avventura politica fatta da eroi, re, invasioni, guerre e leggende durate 721 anni.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
P. Gaudenzio Dell’Aja, per la traslazione in Santa Chiara di Napoli dei resti mortali degli ultimi sovrani delle Due Sicilie, Napoli, 1984
Vittorio Gleijeses, Storia di Napoli, La Botteguccia, Napoli, 1990
Pietro Calà Ulloa, L’unione e non l’unità d’Italia, Istituto Italiano per gli studi filosofici, Napoli, 1998
Giacinto de’ Sivo, storia del Regno delle Due Sicilie dal 1847 al 1861
Liborio Romano, Memorie Politiche,
Gigi Di Fiore, L’ultimo re di Napoli. L’esilio di Francesco II di Borbone
Giuseppe Paladino, Francesco II, Enciclopedia degli Italiani, Treccani, 1932
https://realcasadiborbone.it/monarchia/sua-maesta-francesco-ii-re-delle-due-sicilie/
https://lanostrastoria.corriere.it/2020/06/11/lultima-battaglia-di-francesco-ii-di-borbone/
https://www.giornaledibrescia.it/tempo-libero/l-ultimo-re-delle-due-sicilie-e-il-suo-funerale-sul-garda-1.3445136
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