C’erano tempi in cui una delle sovraffollate colline di Napoli era soprannominata “Vommero Solitario”, frequentata solo da pochi borghesi e dagli abitanti dei villaggi antichi. C’erano pochi punti di ritrovo amati da tutti, che oggi sembrano ritratti. Questo è il caso del caffè di Don Ciccio, il primo bar del Vomero, aperto nel 1890.

Era famosissimo perché vendeva di tutto ed era aperto giorno e notte: si trovavano i sigari e le merende, arrivando addirittura ai rinfreschi per le feste e alla biada per i cavalli. Il locale non chiudeva mai e ci lavorava tutta la famiglia di Don Ciccio. Qui passarono poeti, lavoratori, i primi residenti del Vomero: fu il crocevia di storie e personalità che hanno letteralmente costruito il quartiere moderno.

Questa è una storia dolce di cose che non esistono più lasciando il passo al commercio di tendenza del mondo moderno, una fotografia di quel ritrovo storico di amici come il “Bar Mario” di Ligabue.

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Trattoria quadro di Vincenzo Migliaro
Una trattoria – quadro di Vincenzo Migliaro

Il Caffè di Don Ciccio, ritratto di una Napoli che non c’è più

Il Caffè di Don Ciccio, sin dall’apertura nel 1890, era un viavai continuo di persone di ogni ceto sociale. D’altronde, mentre la campagna stava per trasformarsi nel quartiere commerciale di Napoli, l’antica Via del Vomero, che oggi è diventata Via Cimarosa, era una delle uniche strade antiche della zona sopravvissuta nella attuale configurazione del quartiere.

E così di notte si avvicendavano guardie e spazzini; alle 7 del mattino cominciavano a prendere posto operai e muratori che salivano dalla città per costruire i nuovi palazzi del Vomero; ad ora di pranzo, come da buona tradizione napoletana, ognuno lasciava le proprie differenze sociali per mangiare tutti assieme nel caffè di Don Ciccio.

Poi cominciava il pomeriggio ed ecco sedersi sui tavolini nomi come Ferdinando Russo e Salvatore di Giacomo, Ernesto Murolo, Libero Bovio, Evemero Nardella, Ernesto De Curtis, Edoardo Nicolardi e Rocco Galdieri: erano tutti in cerca di ispirazioni per le proprie opere e si trovavano spesso a passeggiare fra i campi delle colline, come testimoniano le varie targhe disseminate fra Vomero, Rione Alto e Colli Aminei. Un esempio è la targa di Via Nicolardi. D’altronde, sul finire dell’800 la moda della borghesia intellettuale del tempo era proprio quella di radunarsi nei caffè, come testimonia il Gambrinus e tutta l’infinita sequela di caffè culturali nati fra Piazza Dante e Via Toledo.

D’estate la specialità della casa era il “cremolato di fragola“, una via di mezzo fra il gelato e la granita. La sera toccava invece cucinare per il popolo di lavoratori che, finiti i turni, si avviavano lentamente verso casa scendendo la ripida discesa del Petraio, che era l’unico modo per arrivare fino al Vomero in assenza di funicolari.

Il caffè di Don Ciccio si trovava precisamente sul terrapieno che poi diventerà la piazzetta della Funicolare di Chiaia che, negli stessi anni, ospitava le prime partite di calcio organizzate dai figli di Edoardo Scarfoglio, affascinati da quella moda inglese che era il football.

Caffè di Don Ciccio Vomero piazzetta Via Cimarosa
La piazzetta di Via Cimarosa che diventerà sede della Funicolare di Chiaia. Qui c’era il caffè di Don Ciccio

Ma chi era Don Ciccio?

Non abbiamo molte notizie su di lui e il poco che ci è pervenuto è grazie a fonti di seconda o terza mano, fra testi di giornale e racconti di Salvatore Di Giacomo (che di osterie e di luoghi in cui mangiar bene era il massimo esperto!).

Sappiamo che Don Ciccio era un oste alla vecchia maniera, di quelli con il vestito da cucina sempre sporco di salsa, un corpo robusto e rotondo proprio come il suo collega Pallino, che si trovava dalle parti di Via Tasso e che prese il soprannome proprio perché aveva la pancia sferica, e che considerava i suoi clienti come una famiglia. D’altronde, lui stesso presenziava ai buffet serviti e selezionava ogni singolo ingrediente, che cucinava per poche lire.

C’era solo una cosa che Don Ciccio odiava: la modernità. Aveva paura dei palazzi alti, odiava la Banca Tiberina e la nuova Funicolare di Chiaia, che lo costrinse a spostare il suo amato bar in un palazzo vicino. Era legato al Vomero Vecchio, come lo chiamava lui, quasi come un figlio: non dormiva pensando che gli antichi vigneti in cui giocava da bambino si erano trasformati in cantieri.

Era infastidito dalla borghesia che costruiva villette nella vicina Via Palizzi e nella lontana Luca Giordano. Nonostante i guadagni ottimi che ormai faceva grazie alla sua fama e al nuovo popolo vomerese che aveva affollato la collina nei primi del ‘900, avrebbe rinunciato a tutto pur di tornare di nuovo con pochi clienti affezionati, ritirandosi la sera nella sua masseria sotto cieli non rovinati da illuminazioni elettriche e senza frequentare strade affollate da cinema e negozi.

Vomero Nuovo Via Scarlatti
Una pubblicità di una nuova birreria aperta a Via Scarlatti. Notiamo la scritta “Vomero Nuovo” per distinguerlo da Via Belvedere, che era il Vomero Vecchio. La moda della birra a Napoli si diffuse solo nel XX secolo.

Don Ciccio era completamente analfabeta e le poche nozioni di Storia e letteratura che ripeteva ai suoi clienti le aveva imparate durante le lunghe sessioni di ascolto delle chiacchierate fra poeti, musicisti e letterati che passavano per il suo caffè nei pomeriggi primaverili, mentre esploravano i campi del Vomero in cerca di ispirazione.
Figlio di contadini della zona, aveva un cuore più grande dell’intera collina. E quando negli ultimi anni della sua vita perse la vista, si disse ben contento di non vedere più “lo scempio” che era diventato il suo Vomero. E chissà che avrebbe detto se avesse potuto vedere cosa accadde dopo gli anni ’50!

L’uomo ha tolto quello che la natura ha creato, diceva sempre l’oste. Una frase che, nella sua semplicità, probabilmente rivaleggia con le poesie raffinatissime degli uomini che passarono per il caffè di Don Ciccio.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton
Mario Furnari, Il Vomero Vecchio, Fausto Fiorentino, Napoli, 1985
Antonio La Gala, Vomero: storia e storie, Guida Editore, Napoli, 2004
Italo Ferraro, Atlante della città storica: il Vomero, Oikos edizioni, Napoli, 2002

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