Sullo sfondo un manifesto strappato: “Forcella è qui!”. Attorno a noi il classico caos dei quartieri popolari del centro storico. Questa è Via Giudecca Vecchia, l’ultima strada che nel nome testimonia la presenza dell’antica sede della comunità ebraica napoletana.
In realtà gli ebrei a Napoli, fino alla fine dell’epoca medievale, erano praticamente ovunque in città e si dividevano in tre giudecche, ovvero le strade in cui si concentravano le comunità. Poi furono tutti cacciati nel 1540, da Pietro di Toledo, e tornarono solo con i Borbone.
Ancora oggi troviamo numerosissime tracce della loro Storia nei nomi delle strade della città.
Quando arrivarono gli ebrei a Napoli?
Quella di Forcella era una delle tre giudecche di Napoli. Non dobbiamo immaginarli però come ghetti in cui erano relegati, ma come strade nelle quali erano raccolti tutti gli esponenti di varie comunità. Questa cosa era comune nel medioevo, al tempo degli angioini, e per questo notiamo numerosissime strade con i nomi di città o paesi (come Loggia dei Pisani, via dei Fiorentini, Rua Catalana e simili), che erano divisi solitamente anche per mestiere.
Gli ebrei conservarono la propria struttura sociale corporativa anche in tempi più moderni: è questa la ragione che ci fa ritrovare più volte i quartieri ebraici anche nei secoli successivi, quando invece le corporazioni di arti e mestieri cominciarono a perdere la loro caratteristica “aggregativa”.
Non sappiamo esattamente quando gli ebrei si siano stabiliti a Napoli, ma molto probabilmente già in epoca romana c’era una forte comunità stanziata in città, mentre siamo più che certi che a Pompei fossero già presenti da molto tempo, grazie alle iscrizioni trovate negli scavi e spiegate nel libro “Gli Ebrei a Pompei”, di Carlo Giordano e Isidoro Kahn.
Altri studi invece fanno risalire l’arrivo degli Ebrei in Campania al ruolo fondamentale che ebbe Pozzuoli nell’antichità, come porto più importante dell’Italia continentale.
La prima giudecca di Napoli
La prima giudecca di Napoli non fu quella di “Via Giudecca Vecchia”, come potrebbe suggerire il nome.
Gino Doria infatti ci spiega che si trovava molto probabilmente in quello che nel medioevo era chiamato “Vicus Iudeorum“. Oggi è l’attuale Vico Limoncello, che si trova fra il Decumano Superiore, conosciuto oggi come Strada dell’Anticaglia, e Via della Consolazione, che si trova appena alle spalle dell’Ospedale degli Incurabili.
Qui c’era anche la chiesa di San Gennaro Spogliamorti, risalente addirittura al secolo VIII, chiamata così proprio perché c’era l’usanza di “spogliare” i morti dei propri beni preziosi per poi rivenderli al mercato degli ebrei, che non a caso si trovava proprio lungo la strada.
Secondo altri studiosi, come spiega il dettagliato articolo di Claudia Campagnano sul sito della Comunità Ebraica napoletana, il primo insediamento degli ebrei si trovava dalle parti del Colle Monterone, dove c’era anche una sinagoga che oggi non esiste più.
Via Giudecca Vecchia, la seconda comunità
La Giudecca di Forcella la troviamo più avanti nel tempo, probabilmente ai tempi di Federico II. Sappiamo con certezza che si trovava in un punto abbastanza periferico di Napoli (se pensiamo che le mura dell’epoca finivano più o meno all’altezza di Via Duomo) e fu il secondo insediamento in città, che durò in realtà poco più di un secolo.
In questo periodo, in realtà, la comunità ebraica più viva della Campania si trovava a Salerno. Questo lo scopriamo grazie ai tantissimi traffici fatti nei mercati in occasione delle Fiere di Salerno, che si svolgevano due volte all’anno nella città. Poi gli angioini cambiarono completamente le carte in tavola, stabilendo Napoli come centro del regno anche a livello economico, oltre che politico. E gli ebrei di nuovo si spostarono, stavolta molto vicino al porto.
Via Nova della Giudecca e l’allontanamento degli ebrei
L’ultima giudecca ebraica fu quella identificata come “nuova“, che oggi non esiste più a causa del Risanamento, quando fu completamente raso al suolo il quartiere medievale di Napoli. Fu nota nei suoi ultimi anni come “Via Giudecca Grande” ed era un quartiere ebraico che arrivava fino alla chiesa di San Giovanni in Corte, nel Borgo degli Orefici.
Probabilmente fu popolata dalla comunità sotto il regno di Roberto d’Angiò e si trovava dalle parti di San Marcellino, indicativamente a Piazza Portanova. Il luogo era strategicamente perfetto: si trovava infatti vicino al porto, che la dinastia di Carlo d’Angiò ingrandì e potenziò. Ad est, invece, si poteva raggiungere in pochi minuti la nuova Piazza Mercato, che diventò il mercato cittadino spodestando il “Mercato Vecchio”, che oggi conosciamo come Piazza San Gaetano.
Un’altra antica sinagoga vicino a Portanova è poi diventata la chiesa di Santa Caterina Spinacorona, come racconta i libro in tedesco “L’Ebreo di Napoli” di Ernst Munkácsi.
L’occhio per gli affari, insomma, non manca mai. Oltretutto sappiamo che durante il periodo aragonese ci fu uno dei momenti storici più favorevoli per gli ebrei in città, anche a causa dell’espulsione degli stessi dalla Spagna. Isaac Abrabanel, famosissimo filosofo e rabbino portoghese del secolo XVI, fu ad esempio uno dei più stretti collaboratori di Alfonso II d’Aragona.
Poi arrivò il Viceregno e, sotto Pietro di Toledo, nel 1540 furono cacciati tutti gli ebrei anche da Napoli. In realtà c’erano già da diversi anni episodi di intolleranza verso la comunità, come ci racconta Giovanni Antonio Summonte nella storia delle “sette C di Napoli”.
Il decreto di allontanamento degli ebrei spiegava, nella sua motivazione, che gli ebrei erano tutti usurai, oltre al fatto che avevano l’abitudine di derubare i cadaveri, cosa che va contro la religione. Queste attività “abbiette” e “maledette da Dio” stavano portando alla rovina i cittadini napoletani. Molto probabilmente fu solo un pretesto, in quanto molti storici hanno dimostrato che, in effetti, l’usura non era una pratica comune per i commercianti ebrei.
Il ritorno degli ebrei a Napoli
Dovremo aspettare ben due secoli per ritrovarli in città: in questo caso ci penserà Bernardo Tanucci, che li invitò a tornare su consiglio di Carlo di Borbone nel 1740. Poi, però, ci ripensò e 6 anni dopo furono di nuovo allontanati.
Napoli e il mondo ebraico si incontrarono di nuovo nel XIX secolo: arrivarono infatti in città i Rothschild, una delle più antiche e ricche famiglie di banchieri del mondo. Fu comprata Villa Pignatelli e, da quel momento, la riviera di Chiaia diventò un nuovo punto di ritrovo per la rinata comunità ebraica di Napoli, anche se ormai non erano più i tempi delle strade che prendevano il nome dalle consuetudini popolari. Nei decenni finali dell’800 arriveranno numerosissimi nomi che segnarono la vita del territorio campano: da Matteo Schilizzi, lo stranissimo banchiere livornese, a Giorgio Ascarelli, il più amato presidente del Napoli. Arrivando alla tragedia di Luciana Pacifici, la più giovane vittima delle leggi razziali.
Ed oggi, in tempi nuovi e liberi, rimane superstite solo quel nome di “Via Giudecca Vecchia“, che ricorda la storia di un popolo dalla cultura antichissima che non ha mai davvero abbandonato le strade di Napoli, anche in tutte le vicende intense e complesse che caratterizzarono la storia ebraica nella città e nel mondo.
-Federico Quagliuolo
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