A Palazzo San Giacomo ci sono due statue “false”. Letteralmente. Facciamoci caso: all’ingresso del palazzo comunale, infatti, ci sono una serie di monumenti dedicati ai re di Napoli. Mancano le statue dei Borbone, sostituite da due ninfe dopo l’unità d’Italia.
Effettivamente notiamo la curiosità: una capitale secolare come Napoli ha pochissime statue e piazze dedicate ai suoi re e, al netto di quelle sul Palazzo Reale, tutte quelle sopravvissute alle varie iconoclastie dei vari secoli non hanno targhe o nomi che li ricordano. Pensiamo ad esempio al povero Carlo II a Monteoliveto.
Ancora peggio per la dinastia borbonica: la statua di Ferdinando I di Borbone fu nascosta per quasi cent’anni nei sotterranei del Museo Nazionale e non fu distrutta solo perché opera del maestro Canova. Quelle di Piazza del Plebiscito invece furono salvate perché nessuno capì che appartenevano a Carlo e Ferdinando.
Le statue mancanti
Torniamo al nostro Palazzo San Giacomo, che prima del 1861 si chiamava ancora “Palazzo dei Ministeri”. Quando fu arricchito l’edificio, sotto il regno di Ferdinando II di Borbone, il re decise di omaggiare suo padre e suo nonno con una serie di statue allegoriche che avrebbero dovuto accompagnare i passanti nell’ingresso dell’edificio, dato che prima era presente una galleria che portava direttamente a Via Toledo.
L’opera fu commissionata allo scultore catanese Antonio Calì, che raffigurò prima Ruggero d’Altavilla, il primo sovrano del Regno di Napoli e di Sicilia, e poi Federico II di Svevia, lo Stupor Mundi.
Vicino a due dei più importanti regnanti d’Italia c’erano anche le statue di Francesco I di Borbone e Ferdinando I, i due re che avevano avviato e concluso la costruzione del palazzo.
Furono prima distrutte nel 1860, poi sostituite dieci anni dopo da due statue generiche che raffigurano ninfe.
Le lapidi delle statue dei Borbone
Notiamo un altro dettaglio, ancora più chiarificatore: sotto le statue di Federico II e Ruggero II ci sono due scritte che li celebrano per la loro grandezza, mentre sotto le altre due statue la lapide è stata intonacata ed è vuota.
Prima c’erano le seguenti scritte (come indicate dal Comune di Napoli):
Ferdinandus I
Caroli III Hispaniarum Monarchae F.
Ex transmisso sibi paterno iure
Ineunte PubertateUtriusque Siciliae Rex Renunciatus
In publica commoda intentus
Ephebeis scholis orphanorum ac pauperum hospitiis
Per regni sui provincias et in principe urbe positi
Itineribus corruptis confragosis
Strato lapide ad commercia frequentanda munitis
Musarum domicilio veteri gaza
ex herculanensibus et pompeianis conflagrationibus effosa
Et apparatissima bibliotheca instructo
Foedere cum romano pontefice sancito
Novo civilium lego evulgatio codice
Novoque iudiciorum ordine constituto
Et in lubianensi praepotentium regum conventu
Firmata populorum securitate
Exemplar cunctis extitit ad imitandum
Regnavit Annos P.M. LXV
Di fatto, la lapide dedicata a Ferdinando I di Borbone decanta tutti i suoi interventi positivi nel regno. Comincia spiegando che il re prese il potere da bambino, a seguito della rinuncia di Carlo di Borbone (indicato come Carlo III di Spagna anche in tempi borbonici) e poi, una volta divenuto adulto, costruì scuole, ospizi per poveri, orfanotrofi; aggiustò strade e creò nuove vie di commercio, creò il Museo Archeologico Nazionale e una biblioteca straordinaria; si fece promotore di nuovi patti con lo Stato Pontificio ed esecutore di nuove leggi civili, così come fece creare un nuovo sistema giudiziario.
Insomma, una lapide celebrativa inaccettabile per i fermenti politici antiborbonici.
Franciscus I
Regni Utriusque Siciliae Rex P.F.A.
Paternis vestigiis incressus
Religione a christianissimis et catholicis regibus
per manus veluti sibi tradita
Custodienda vindicanda
Dilabentibus moribus
Regio magix exemplo quam legum severitate
Emendandis
Magnis imperii rebus
In supremo principali concistoro
Mira alacritate definendis
Superiorum principum gloriam supergressus
Borboniam maiestatem clarioribus auxit incrementis
Aequi Rectique tenax
Morum suavitate clementia comitate
Et beneficentiae laude singulari
Decurrentium Seculorum Praeconiis Memorandus
Faxit deus volens propitius
Ut suscepta pro optimi regis incolumitate
Et pro costantia domus augustae
Populorum vota
Rata perpetuo sient semperque signentur
La lapide di Francesco I di Borbone, invece, decanta tutte le virtù del re che governò sul Regno per soli 5 anni. Fu infatti degno erede del padre e gestì Napoli con una condotta “più esemplare che severa”. E ancora, riuscì ad aumentare oltre ogni misura passata la maestà e la gloria della dinastia borbonica. Chiaramente sono poi lodate le sue doti religiose (ed effettivamente, come tutti i Borbone, Francesco I fu religiosissimo).
Anche qui ci troviamo davanti a una lapide ben più che illustrativa: si tratta di un vero e proprio documento di propaganda. Tanto bastò per deliberare la rimozione delle statue, durante i rifacimenti del palazzo negli anni ’70.
Deborbonizzazione
Il processo di eliminazione di qualsiasi simbolo borbonico, in realtà, cominciò addirittura sotto il regno di Francesco II. Si ricorda infatti un aneddoto, raccontato da Giovanni De Caro in “Aneddoti Borbonici”: il re, mentre si apprestava a lasciare Napoli convinto da Liborio Romano, vide che davanti ai suoi occhi alcuni scalpellini stavano rimuovendo i gigli borbonici dalle inferriate e dai fregi dei palazzi della città, in modo da presentarla già “ripulita” all’ingresso di Garibaldi. Umiliante.
Ed oggi, in tempi più liberi e con occhi sereni, ci troviamo a scavare nella memoria di simboli, storie e dettagli perduti che, con la loro assenza, tolgono elementi preziosi alla memoria storica della città.
-Chiara Sarracino
Riferimenti:
Comune di Napoli
Italo Ferraro, Napoli. Atlante della Città Storica, Oikos Edizioni, Napoli, 2001
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