San Pietro Martire è quella chiesa che tutti gli studenti delle facoltà umanistiche della Federico II hanno visto per anni, con la sua cupola gialla che spunta dal chiostro di Porta di Massa ma, per i corsisti più recenti, non hanno mai potuto visitare.
Nel suo soffitto completamente bianco racconta le storie della sofferenza vissuta da un edificio monumentale che fu bombardato durante la guerra e salvato dal Risanamento.
Sotto le sue fondamenta, inoltre, c’è una scoperta
Oggi, finalmente, possiamo tornare a visitarla grazie ai ragazzi dell’associazione Respiriamo Arte.
Scampata per due volte dalla morte
San Pietro Martire si è salvata per miracolo per ben due volte: si trova esattamente a ridosso del Corso Umberto, che fu disegnato nel 1884 con un tratto di matita che ha raso al suolo l’intero quartiere medievale di Napoli durante il risanamento. A ben vedere la forma della piazzetta dall’esterno, potremmo dire che davvero per questione di millimetri non è stata segata in due, come è accaduto a San Pietro ad Aram.
Potremmo dire che davvero per un tratto di matita non è sparita anche questa chiesa che, non a caso, alle spalle ha un gigantesco palazzo costruito proprio per dare quel senso di regolarità al vialone ottocentesco.
San Pietro Martire, in tutte le sue cappelle, racconta storie antiche che vanno dal 1294, anno della sua costruzione sotto gli Angioini, all’epoca rinascimentale, quando fu conclusa e arricchita con opere d’arte che anticiparono il gusto cinquecentesco.
E poi arriviamo alla II Guerra Mondiale, quando fu bombardata e per miracolo si salvò dal crollo e dalla distruzione completa, che invece fu la pietra tombale per la bellissima Santa Chiara.
Grandi firme
La sua cupola maiolicata si vede da ogni punto del centro storico ed è la compagna delle giornate passate nel chiostro della Facoltà di Lettere, che un tempo apparteneva proprio alla nostra chiesa. Nel 1809 fu scorporato e diventò una fabbrica di tabacchi e nel 1961 viene acquistato dall’Università e, grazie alle cure dell’ ingegner Di Stefano, viene recuperato il chiostro rinascimentale.
Se durante la trasformazione industriale del chiostro abbiamo perso tutte le opere d’arte a lui collegate, per la chiesa fortunatamente sono sopravvissuti diversi oggetti di interesse: dalla tomba della figlia di Ferrante d’Aragona, Beatrice, a un interessantissimo sepolcro in cui si vede la Madonna.
Ma non c’è solo questo: troviamo infatti un dipinto di Solimena, di Giacomo del Po, Giacinto Diano (allievo di Francesco De Mura e Giovanni da Nola, meglio conosciuto come Giovanni Merliani. E non dimentichiamo l’intervento architettonico di Picchiatti, uno dei migliori del suo tempo, legato anche al Tempio Duomo del Rione Terra.
Per ultimo, una piccola curiosità: riusciamo a scorgere un piccolo aeroplano ai piedi di una madonna. Non abbiamo le traveggole: davvero si tratta di un modellino di aereo portato qui dagli aviatori.
L’acqua del Sebeto
Ma c’è di più. Se guardiamo sotto la chiesa, scopriamo che scorre il sangue di Napoli: c’è infatti una vasta falda acquifera (che non è mai un bene per gli edifici) che, molto probabilmente, è uno dei tanti rami del Sebeto che corrono sotto terra.
Notiamo infatti poco lontano da qui, dalle parti di Via Leopoldo Rodinò, che c’è una targa “muta”: dice solo “Acqua della Bolla”.
Si riferisce appunto ad una falda acquifera che si trova sotto terra, il corso d’acqua che, ai tempi della Napoli Medievale e del Colle Monterone, era visibile. oggi invece giace sotto l’asfalto.
San Pietro Martire: l’inventore del rosario con un coltellaccio in testa
Se abbiamo prestato attenzione, nel secondo paragrafo abbiamo nominato due chiese dedicate a San Pietro che si trovano a pochi metri di distanza, lungo Corso Umberto. Prima erano separate da un dedalo di stradine ed edifici, ma la sostanza non cambia: sono dedicate a due Pietro diversi.
Quello di San Pietro ad Aram è infatti il Pietro apostolo di Gesù che, secondo la tradizione, sbarcò a Napoli prima di recarsi a Roma per fondare la prima Chiesa. Ancor prima del Vaticano, fondò prima un piccolo tempio qui, che oggi è stato distrutto.
Il San Pietro Martire della nostra chiesa di Porta di Massa, invece, è Pietro da Verona. Fu un predicatore medievale, vissuto nel XIII secolo, famoso per aver inventato il rosario.
Nell’iconografia popolare è rappresentato in modo abbastanza bizzarro e macabro: lo troveremo con un’accetta conficcata dentro la testa e un coltellaccio che gli spunta dal petto.
Era un religioso seguace di San Domenico, un inquisitore severissimo che predicò in Lombardia per tutta la vita e condannò numerosissimi eretici nel periodo della lotta fra Guelfi e Ghibellini.
Un giorno, mentre si recava da Como a Milano, fu fermato da due sicari che massacrarono l’inquisitore di botte, poi fu ucciso con una coltellata al cuore e una mannaia dritta sulla testa.
Prima di morire scrisse con il sangue “io credo” per terra e, ahilui, i suoi tratti caratteristici nell’iconografia cristiana sono proprio le armi che lo uccisero in quel lontano 6 aprile del 1252.
Essendo un santo martire dei domenicani, che erano il gruppo religioso più potente nella Napoli Angioina (ma anche aragonese, assieme ai Gesuiti e Teatini), non ci meraviglierà trovare allora una chiesa a lui dedicata in cui troveremo numerosi dipinti di questo santo che, con la sua attività ancora oggi influenza la vita dei cattolici.
Ironicamente, è il santo invocato contro il mal di testa.
-Federico Quagliuolo
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