Uno dei poli di eccellenza napoletani meno conosciuti. Il Real Officio Topografico, fondato dal leggendario cartografo padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, fu per quasi cent’anni l’avanguardia nella produzione italiana che vide la fine di una tradizione di eccellenza solo nel 1879, quando fu soppresso e le maestranze trasferite a Firenze.
A Napoli nel 1792 si realizzò il primo atlante marittimo del mondo e, a partire dal 1781, si lavorò ad una fra le più precise, accurate e dettagliate cartografie di uno Stato europeo: l’Atlante del Regno.
Un incontro fortunato
C’è chi crede al caso, chi invece parla di destino. Quel che è certo è che l’economista e abate Ferdinando Galiani, uno dei più intimi consiglieri di Ferdinando IV di Borbone, ebbe modo di conoscere a Parigi Jean-Baptiste Bourguignon d’Anville, il “geografo del Re”, e Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, giunto lì dopo una rocambolesca avventura: il padovano dopo aver creato la prima mappa della Polonia, poi di Svezia e Danimarca, alla fine andò in Prussia e fu catturato dai francesi durante una battaglia. Era un uomo dalla cultura sconfinata e gli bastò una breve chiacchierata con lo scienziato italiano per capire l’importanza strategica di una buona cartografia.
Giunto in Italia, fu facile convincere Re Ferdinando sulla necessità di fare un’opera mai realizzata prima: censire tutte le strade di Napoli (e nel 1794 infatti cominciò la codificazione della toponomastica stradale napoletana) e creare la prima cartina del Regno delle Due Sicilie.
Il prodotto di quest’immenso lavoro sarà l’Atlante Geografico del Regno di Napoli completato solo nel 1815, dopo trentaquattro anni di lavoro. Fu infatti commissionato da Ferdinando IV nel 1781.
Il Real Officio Topografico: un’eccellenza europea
Mentre Rizzi Zannoni lavorava al suo epocale Atlante, pensava alla creazione di un istituto nazionale per la cartografia. Convinse quindi il ministro John Acton a sostenere la causa della fondazione del Real Officio Topografico di Napoli, che fu posizionato in un edificio di Vico Rosario di Palazzo, nel pieno dei Quartieri Spagnoli.
Il pensiero illuminista del secolo XVIII e l’infinita esperienza europea del geografo padovano, infatti, gli avevano donato una visione dei suoi tempi di rara lungimiranza. Riteneva infatti che uno Stato potesse prosperare solo con una conoscenza perfetta e capillare dei propri territori, individuando luoghi di possibili espansione, risorse naturali e punti strategici per il controllo militare.
Le infrastrutture costruite nel XIX secolo, come le ferrovie borboniche, i ponti sospesi e le strade di collegamento fra le province ci spiegheranno benissimo l’importanza delle carte geografiche. E non dimentichiamo l’aspetto militare: il passato ci ha raccontato quante avventure finirono malissimo a causa di una scarsa conoscenza dei territori: se qualcuno pensa alle Forche Caudine, è solo uno dei tanti esempi.
In pochi anni il Real Officio Topografico produsse documenti di rara bellezza in termini estetici e scientifici, che furono studiati e apprezzati dagli studiosi di tutta Europa: dalla Topografia dell’Agro Napoletano del 1793 all’Atlante Marittimo del Regno di Napoli.
Il lavoro, per giunta, non si limitò alla capitale, ma si concentrò anche sulle province, in special modo sulla Terra di Lavoro.
La difficile arte della cartina geografica
Il lavoro del cartografo è sempre stato, sin dalla notte dei tempi, difficilissimo: richiede conoscenze avanzatissime di matematica, astronomia, disegno, geologia, Storia e, chiaramente, di geografia. Non esistendo droni, satelliti e Google Maps, per giunta, l’unico modo per mappare i territori in scala era fisicamente quello di esplorarli, avventurandosi in boschi, montagne, paludi e altre insidie senza alcuna strada di accompagnamento, cibo o acqua potabile anche per diversi chilometri. Il Regno delle Due Sicilie era fortunatamente una terra particolarmente accogliente e ricca di risorse naturali, ma i suoi territori più interni erano rimasti a dir poco ai tempi del feudalesimo.
Accadde infatti che alcuni residenti di borghi più remoti, non abituati a visite di forestieri, aggredirono gli studiosi perché impauriti dai loro strumenti di lavoro e dal loro parlare in Italiano. Si cominciò quindi ad accompagnare le spedizioni con una scorta di militari.
Ci basterà questa introduzione per capire che il Real Officio Topografico fu un’istituzione scientifica eccezionale e il Regno di Napoli investì grosse risorse economiche per sostenere quest’attività: subito dopo la sua fondazione, infatti, il Direttore fu chiamato ad assumere i migliori matematici, artisti, studiosi, stampatori e astronomi per cominciare a lavorare sulle carte cittadine e territoriali dell’intero regno, anche per individuare i luoghi da ammodernare e le aree più depresse da sostenere,
Immaginiamo quindi i Quartieri Spagnoli trasformati in un polo di eccellenza europeo, con le sue strade e case frequentate dai migliori cartografi e matematici dell’epoca.
Anche la filiera produttiva creata attorno al Real Officio fu di notevole importanza: dalla Cartiera di Scauri, che forniva i materiali in esclusiva per i cartografi, ai fabbri di Rua Catalana, che si occupavano di realizzare gli stampi di rame. Si creò presto una manodopera altamente specializzata anche in termini di artigianato e non era difficile trovare napoletani nelle filiere produttive degli istituti nazionali di cartografia esteri.
Innovazioni e memorie
Nel Real Ufficio topografico si lavorò a numerosissime innovazioni epocali. Luigi Marchese, uno dei più attivi cartografi napoletani, ad esempio, creò la prima carta dei quartieri di Napoli. Si chiamava “Pianta della Città di Napoli in 20 pezzi“, è datata 1798 e ci sono alcuni quartieri ancora oggi presenti nella toponomastica cittadina. Altri, come Poggioreale, vengono definiti “Pezzo di Lotrecco” che ricorda la storia di Lautrec.
Questo lavoro si inserisce in un contesto ancora diverso: fu sempre Ferdinando IV a commissionare a Rizzi Zannoni il primo censimento della toponomastica napoletana nel 1794, con la costruzione delle prime targhe odonomastiche che ancora oggi troviamo sparse in giro per la città. Negli anni seguenti questo censimento fu esteso a tutte le città del Regno.
La peculiarità del Regno delle Due Sicilie è che i toponimi erano chiamati “Strade” e non “Vie”. Ancora oggi troveremo in giro per la città targhe sopravvissute con ad esempio il nome di “Strada Santa Chiara” o “Strada di Toledo” proprio perché non era in uso l’attuale termine “Via”, arrivato solo dopo l’Unità d’Italia.
La fine del Real Officio Topografico fu un assassinio silenzioso. Dopo l’Unità, infatti, alcune istituzioni dell’antico Regno delle Due Sicilie vennero riadattate alla nuova configurazione amministrativa del Regno d’Italia e i funzionari cambiarono casacca: pensiamo ad esempio ai pompieri del maestro Del Giudice o all’ottuagenario Friedrich Dehnhardt, che continuò a gestire il Bosco di Capodimonte. Altri poli di eccellenza, invece, furono smantellati o lasciati invecchiare senza aggiornamenti, come Pietrarsa e San Leucio.
Nel caso del nostro ufficio, inizialmente fu “retrocesso” a sezione distaccata dell’ufficio cartografico di Torino (e poi di quello di Firenze, quando la città toscana diventò capitale provvisoria d’Italia). Poi, nel 1879, l’ufficio dei Quartieri Spagnoli fu definitivamente chiuso e tutte le maestranze napoletane furono trasferite all’Istituto Geografico Militare di Firenze, dove ancora oggi è presente un enorme archivio di
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Giancarlo Alisio, Cartografia napoletana dal 1781 al 1889, Prismi, Napoli, 1983
Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante Geografico del Regno di Napoli, Biblioteca Nazionale di Firenze
Alfredo Buccaro, corsi universitari “Napoli e il suo paesaggio” con Federica Unina
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