Soldato più che cardinale, Pompeo Colonna ebbe una vita più sul campo di battaglia che in chiesa. Integerrimo, incorruttibile e con la tempra del condottiero, collaborò con Carlo V durante il sacco di Roma del 1527. Dopo la morte del precedente vicerè, Filiberto di Chalons, sul campo di Battaglia, l’imperatore diede proprio a Pompeo il ruolo, nel 1530. L’obiettivo: ripulire le istituzioni da una corruzione dilagante.
Un giustiziere troppo zelante
Durante la sua reggenza, Pompeo Colonna si dimostrò inflessibile ed energico governatore. Focalizzò la sua attenzione soprattutto sugli eventi che accadevano a Napoli, più che nel resto del Regno, in particolare osteggiando i privilegi della ricchissima nobiltà locale, che già in passato costituirono un problema per i regnanti, oltre che quelli dei vertici delle istituzioni napoletane.
Oltre alla nobiltà, il vicerè si accanì contro i principali uffici del Regno, completamente permeati da un clima di corruzione e dai favoritismi, indicendo numerosi processi e causando moltissimi arresti e perfino condanne a morte, con un tale zelo da arrivare, in breve tempo, ad inimicarsi persone di tutte le classi sociali.
Una curiosità: cugino di Vittoria Colonna, Pompeo ha scritto anche alcune opere letterarie, tra cui “Apologia mulierum“, che dedicò proprio a sua cugina.
Pompeo Colonna e la Corte della Vicaria
Uno dei bersagli di Pompeo Colonna fu il secolare Tribunale della Vicaria, che vedeva le sue origini durante la dominazione dei d’Angiò. Subì, nei secoli, numerose riforme e altrettanti cambi di sede. Al tempo, quest’ultima era in vico degli Orimini, oggi via della Vicaria vecchia.
Tra i giudici facenti parte del Tribunale, spiccano i nomi dei fratelli Monte, Giulio e Cola Giovanni, uomini senza scrupoli e con le mani in molti affari loschi, rinomati tra il popolo dell’epoca per i loro abusi e che presto sarebbero finiti nel mirino del cardinale Colonna.
Cola Giovanni era detto “delle contumacie”, era un uomo molto corrotto, non nuovo alla falsificazione di processi per favorire i propri interessi. Il fratello Giulio, ecclesiastico, era solito ricorrere a uomini armati per ricattare persone, estorcere loro denaro e favori di ogni sorta. I due fratelli, peraltro, s coprivano le spalle a vicenda: ad esempio, ogni qualvolta risultavano denunce rivolte a Giulio, Cola Giovanni si assicurava che non gli accadesse nulla.
Con l’insediamento di Pompeo Colonna, i due fratelli non tardarono a volersi assicurare la protezione del nuovo vicerè, contestualmente all’elezione di Cola Giovanni ad Eletto del popolo, proprio nel 1530.
Il cardinale non acconsentì a scendere a patti con i due giudici e, di tutta risposta, Cola Giovanni incominciò a parlar male in pubblica piazza del nuovo reggente. Quest’ultimo, che non era affatto contento di un simile comportamento, oltre che dei precedenti di cui si erano macchiati entrambi i fratelli, crudeli e corrotti, così decise di agire.
La terribile fine dei fratelli Monte
Il primo arrestato fu Giulio e suo fratello, esperto di cavilli giuridici, non potè agire contro le decisioni di Pompeo Colonna, che volle farlo giudicare sia dal tribunale civile che ecclesiastico. Dopo un lungo processo, in cui numerosi testimoni raccontarono delle malefatte dell’ecclesiastico e dei suoi soprusi nei loro confronti, Giulio Monte fu condannato a morte per omicidi, stupri e per abuso del proprio ruolo, solo dopo essere stato a lungo torturato nel luogo in cui era prigioniero.
Il 9 gennaio 1531, in piazza del Duomo, circondato da un ampio corteo di popolani infuriati, fu prima sconsacrato dei suoi titoli da religioso, dopodichè fu trascinato da dei buoi a cui era stato legato fino a piazza del Mercato. Infine, fu impiccato, il suo corpo fu fatto a pezzi e ciò che ne rimaneva fu esposto davanti alle principali porte cittadine.
A questo punto, toccava a Cola Giovanni subire la feroce punizione del cardinale Colonna. Anch’egli arrestato, fu torturato finchè non confessò tutte le sue malefatte, le scorrettezze, gli abusi d’ufficio, i favoritismi. Gli fu riservato un corteo analogo a quello del fratello per il giorno della sua pubblica esecuzione.
Gli fu dato fuoco in piazza Mercato ed il suo corpo fu lasciato sul posto per giorni, su espressa volontà di Pompeo Colonna, finchè non decise di toglierlo per via delle suppliche del popolo, che si lamentavano di un terribile fetore emanato dal corpo deturpato del giudice, oramai in decomposizione. Quei resti furono gettati nei pressi del ponte della Maddalena, dove si era soliti accumulare i corpi dei condannati a morte, non considerati degni di una tomba vera e propria in un cimitero.
Tuttavia, il “cardinale d’acciaio” non si dimostrò del tutto impassibile: giunse da lui la moglie di Cola Giovanni Monte, straziata per la morte del coniuge, che supplicò Pompeo Colonna di potergli fornire una degna sepoltura nella cappella di famiglia, nella basilica di san Giorgio. Commosso nel vedere quella donna così affranta, accettò.
Con la reggenza di Don Pedro di Toledo, alcuni anni dopo, il tribunale della Vicaria subì un nuovo cambio di sede, presso Castel Capuano, che sarebbe diventato teatro di nuove, terribili vicissitudini. Il castello mantenne il ruolo di tribunale fino alla costruzione del Centro Direzionale, negli anni ’90 del secolo scorso.
Gli ultimi anni
Pompeo Colonna si oppose duramente anche al Parlamento del regno, oltre che contro le sue principali istituzioni. Nel corso della sua breve reggenza, ebbe, infatti, numerosi contrasti con i deputati napoletani. Tra i motivi di disputa, ci fu la richiesta di un’ingente somma di denaro, a nome di Carlo V. I deputati tentarono una mediazione con il cardinale, sperando che ritornasse sui suoi passi, ma lui non mostrò alcuna intenzione di scendere a patti.
Così, i parlamentari decisero di inviare un nobile a titolo di ambasciatore a Carlo V in persona, per spiegargli l’impossibilità di elargire una somma del genere in breve tempo, nonchè richiedere all’imperatore un nuovo vicerè, dati i continui contrasti col cardinale Colonna. Carlo V accettò di frazionare il pagamento ed acconsentì anche alla richiesta di sostituzione. Aveva già un nome pronto: don Pedro di Toledo, suo fedelissimo servitore.
L’irriducibile vicerè Colonna, tuttavia, fu placato solo dalla sua dipartita: infatti, non fece in tempo ad affrontare di petto il discorso della sua sostituzione, poichè morì improvvisamente, in circostanze non chiare, nel 1532, lasciando campo libero al suo sostituto, Don Pedro, che governò Napoli ed il Regno con altrettanta inflessibilità e molto più a lungo.
-Leonardo Quagliuolo
Per approfondire:
“Apocalisse su Napoli“, di Giuseppe Porcaro
“Mappa topografica della città di Napoli e de’suoi contorni” di Giovanni Carafa, duca di Noja
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