I “naporitan spaghetti“, anche noti come “napolitan spaghetti“, sono un tentativo giapponese di imitare e, parzialmente, reinventare l’iconica figura del classico piatto di pasta al pomodoro, che non può mancare nei ricettari di pressochè tutta l’Italia.
Il doppio nome sta nel fatto che nella lingua giapponese la”R” viene utilizzata per entrambi i suoni “L” e “R” e quindi la lettura dell’alfabeto latino può variare: “NapoRitan spaghetti” deriva da una latinizzazione del giapponese, “NapoLitan” se facciamo riferimento alla reale origine del nome.
Tuttavia, chi avrebbe detto che Napoli avrebbe ispirato il nome di un celebre piatto della apparentemente così distante cucina giapponese?
L’origine dei Naporitan Spaghetti
Come alcuni siti stranieri di ricette riportano scherzosamente, “se siete italiani, guardate da un’altra parte, perchè questo piatto potrebbe offendervi“.
In effetti, questo piatto non va in alcun modo comparato con il tipico piatto di spaghetti che comunemente si trova sulle tavole di migliaia di persone ogni giorno.
Il 30 agosto 1945, Douglas MacArthur, da poco nominato Comandante Supremo delle Potenze Alleate, atterrò all’aereoporto di Atsugi a Yokohama, in Giappone, per soggiornare in un meraviglioso e lussuosissimo hotel direttamente sul mare e sul porto, che era scampato alla devastazione portata dalla guerra.
Lui e i suoi uomini avrebbero sostato al New Grand Hotel per tre giorni, per poi ritornare in patria.
Lo chef dell’albergo, Shigetada Irie, ansioso di preparare un piatto gradito ai suoi ospiti, inventò una nuova pietanza, prendendo idea da una pratica molto comune tra i soldati americani in loco: quella di mangiare la pasta con il ketchup, una vera e propria bestemmia per un lettore italiano, ma sorvoleremo.
Da questa intuizione, da questa idea di pasta “rossa”, decise di ispirarsi alla cucina napoletana, per ricreare una pasta che fosse d’aspetto familiare agli americani ma molto più saporita.
Così, ecco i Napolitan spaghetti.
Di ketchup però, nella ricetta di Shigetada Irie, non c’é traccia.
La salsa fu preparata dal primo cuoco dell’hotel, uno svizzero, che conosceva, a suo dire, il modo di preparare il sugo a Napoli.
Era una salsa fatta di pomodoro, aglio, funghi, bacon e vari vegetali.
Si racconta che però il cuoco lasciò gli spaghetti a cuocere per molto tempo dopo la cottura, tanto da renderli simili ai noodles, e quindi più simili ai gusti giapponesi.
La ricetta fu ben presto copiata da tutti hotel e ristoranti minori, ma alla salsa di pomodoro, costosa e difficilmente reperibile (non si parla mai di pomodori freschi), fu sostituito il ketchup. In più, furono aggiunti salsiccia, cipolla, peperoni verdi e tabasco.
Dato il successo che questa ricetta riscosse, divenne un piatto fisso dell’hotel e che è tutt’oggi ordinabile presso il ristorante della struttura.
Secondo altre fonti, i primi esempi di questa preparazione risalgono all’inizio del ‘900.
I Napolitan Spaghetti entrarono così ufficialmente nel repertorio della cucina giapponese, seppur, contro ogni originaria intenzione, con di napoletano solo il nome.
Una semplice pasta al pomodoro, che diventa in America pasta al ketchup, in Giappone ritorna ad essere al pomodoro, per “rispetto” alla tradizione napoletana, e che ritorna al ketchup.
Se mai vi trovaste in giappone e, al ristorante vi proponessero un bel piatto di “Napolitan Spaghetti“, fate attenzione! Non sono quel che possono sembrare!
-Leonardo Quagliuolo
P.S.
La pietanza rientra a tutti gli effetti in un particolare genere culinario, tipico della cucina giapponese:
il “you shoku”. Si tratta di piatti occidentali, ripresi da chef giapponesi e riadattati ai gusti locali.
Altri tipici piatti yoshoku sono: le omelette di riso (omoraisu), l’hamburger alla giapponese (hanbāgā), un particolare tipo di stufato di manzo chiamato “hashed beef” (hayashi raisu), lo stufato con besciamella (howaito shichū), il riso al curry (karī raisu), le crocchette (korokke; qui a lato) e le cotolette di maiale fritte (tonkatsu).
Per chi fosse incuriosito dalla ricetta, ecco a voi un tutorial per la preparazione.
Sitografia:
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