Le terrazze si arrampicano sulle montagne scoscese della Costiera Amalfitana come in un quadro di Maurits Cornelis Escher, sono ricolme di alberi di limoni e di orti lussureggianti. Il limone in Campania non è sempre cresciuto, vi è arrivato grazie agli scambi commerciali e culturali con l’Oriente, in un mondo che in fondo, è sempre stato interconnesso. Qui però, grazie alla terra e al microclima, ha un sapore tutto suo.
La terra muta il sapore dei frutti, cosi come il clima. Dalla Cina, fino all’America, dovunque la pianta di limone sia arrivata, grazie agli scambi umani o alla natura, ha leggermente mutato il gusto dei suoi frutti. Ecco che il limone della Costiera Amalfitana si può citare, insieme a quelli asiatici, mediorientali o nord africani, tra i migliori al mondo. In fondo ogni terra e continente ha regalato a questi frutti sfumature diverse, arricchendo l’agricoltura mondiale.
Il limone nell’epoca classica
La pianta del limone vive spontanea nell’Asia orientale, in una zona che comprende India, Indocina, Indonesia e il sud della Cina.
Gli storici sembrano non essere concordi su quando il limone sia approdato sulle coste del nord del Mediterraneo. Per anni si è pensato che lo avessero portato gli arabi, oggi piuttosto si pensa che i greci e romani, già conoscessero questa pianta, grazie agli scambi con l’Oriente, ma che la usassero per lo più per motivi ornamentali. Certamente furono gli arabi ad affinarne la tecnica di innesto e di coltivazione e a renderlo il limone un frutto popolare anche nel Mediterraneo.
Nei testi greci o romani, si parla spesso di un pomo d’oro o di citrus, probabilmente senza fare distinzione tra cedri e limoni.
Il limone era probabilmente diffuso dal Mediterraneo fino alla Cina, grazie agli scambi pacifici o burrascosi, che i popoli dell’antichità avevano lungo quest’asse commerciale. I greci e i Romani, almeno inizialmente, non lo coltivavano per scopo alimentare, ma solo ornamentale.
I limoni nella letteratura greca e romana
Il greco Teofrasto di Ereso, nel IV secolo a. C, ci regala la prima descrizione in Occidente di questa magnifica pianta: “Tutto il territorio situato ad oriente ed a meridione produce piante ed animali particolari: tanto che si distingue in Media ed in Persia, tra le tante altre produzioni, la pianta che viene chiamata Pomo di Media o di Persia.
Questo albero ha la foglia simile, quasi uguale a quella dell’alloro, porta aculei come il pero (selvatico) o delle spine molto puntute, più sottili e più robuste; il suo frutto non si mangia ma ha un odore squisito e la foglia di quest’albero è profumatissima; se il frutto viene posto tra le vesti le preserva intatte (da attacchi parassitari).
Il frutto è utile per annullare gli effetti di una pozione mortale e per correggere i djfetti dell’alito dal momento che, se qualcuno dalla polpa ne ricava un succo oppure un decotto qualsiasi e con questi sciacqua la bocca, giungerà ad ottenere un alito soave.
Il seme va messo in terra in primavera in solchi preparati con la massima diligenza: dopo di che va irrigato per quattro o cinque giomi, quando la pianta ha preso un po’ di forza, va trapiantata sempre in primavera in un terreno morbido ed umido che non sia troppo leggero; così infatti lo preferisce.
Porta continuamente dei frutti, alcuni che cadono perché maturi, altri appena nati, altri vicini alla maturazione. I frutti nascono esclusivamente dai fiori che hanno al centro una specie di frutto dritto, perché i fiori che ne sono sprovvisti cadono senza produrre alcunché. Si seminano, anche, come le palme, in vasi di terracotta forata: questo albero come è già stato detto, è comune in Persia e nella Media”
Sembra parlarne anche Virgilio, intorno all’anno 30 a.C. (Georgiche, libro 2) e alcuni decenni dopo Plinio il Vecchio, usando il termine citrus. I due autori parlano di coltivazioni in Asia e sembrano avvalorare la tesi che non fosse piantato in Europa.
Alcune prove archeologiche sembrano però mettere in dubbio anche questo.
A Pompei, nella villa del Frutteto, sono stati infatti trovati splendidi affreschi di alberi di limoni. Non è chiaro se si tratti di rappresentazioni di piante esotiche o se davvero fossero piantate a Pompei.
Celio Apicio ( III-IV sec. d.C.) nella sua “Arte Coquinaria” sembra anche lui parlare di un frutto, il citrus, che veniva utilizzato per aromatizzare il vino, per conservare a lungo i frutti chiusi in vaso e per cucinare.
L’ultimo autore di agronomia dell’antichità classica, Rutilio Tauro Euriliano Palladio, del IV secolo d.c., dopo il quale, per otto secoli, nessun europeo scrisse più di agricoltura, sembra parlare anche del limone.
L’ampia trattazione ne evidenzia in maniera particolareggiata il sistema di semina o impianto (seme, ramo, glaba e talea), la coltivazione, la raccolta e tutti i trucchi utili a difenderlo dalle avversità, a dargli gli elementi necessari per la sua crescita, sistemandolo in terreni idonei e coperture riparatrici. Lo scrittore descrive poi delle coltivazioni viste in Sardegna e nei dintorni di Napoli.
Tutte queste conclusioni portarono il professore di arboricoltura della Facoltà di Agraria di Portici, Domenico Casella, a scrivere che già ai tempi della civiltà latina erano coltivate altre piante del genere “citrus” specie come cedro, limone, arancio e limetta.
Il prof. Casella, grazie a studi sulle pitture sostenne che nell’area del Vesuvio erano raffigurate varietà di limoni ancora oggi coltivate: il femminiello di Sorrento, lo sfusato di Amalfi, il lunario palermitano, il tunno o impalluggiato. Inoltre, sul capolavoro dell’arte vetraria romana, il famoso “Vaso Blu”, rinvenuto in un ricco sepolcro pompeiano.e conservato nel Museo Nazionale di Napoli, il prof. Casella individuò nei festoni e ornamenti vegetali altre due varietà di limoni: la peretta spatafora e la peretta maggiore.
Il limone nel Medioevo, tra Oriente e Occidente
Nel Medioevo furono sicuramente gli arabi e persiani, che affinarono le tecniche di coltivazione del limone e che importarono nuovi agrumi nel Mediterraneo.
Fu poi la scoperta della sua grande utilità nella lotta allo scorbuto, la malattia dovuta a carenza di vitamina C, di cui gli agrumi sono notoriamente ricchi, a fare il resto. Già nell’XI secolo, la Repubblica Marinara di Amalfi decretò che a bordo delle navi ci fossero sempre provviste di tali frutti. Dal 1400 al 1800 altissima fu la richiesta, anche da parte di altri paesi, soprattutto nord-europei, di limoni amalfitani, proprio per il loro impiego nella lotta allo scorbuto.
Il limone in Campania: la Costiera Amalfitana
Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è presente in tutti i comuni della Costiera Amalfitana: Amalfi, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano, Ravello, Scala, Tramonti, Vietri sul Mare.
Il nome della varietà Sfusato Amalfitano, che dà luogo alla Indicazione Geografica Protetta “Limone Costa d’Amalfi”, racchiude due caratteristiche importanti: la forma affusolata del frutto, da cui il termine “sfusato”, e la zona in cui si è venuto, col tempo, a differenziare: la Costiera Amalfitana.
Il “Limone Costa d’Amalfi” IGP è un prodotto dalle caratteristiche molto pregiate e rinomate: la buccia è di medio spessore, di colore giallo particolarmente chiaro, con un aroma e un profumo intensi grazie alla ricchezza di oli essenziali e terpeni, carattere ritenuto di pregio per la produzione del limoncello. La polpa è succosa e moderatamente acida, con scarsa presenza di semi. E’ inoltre un limone di dimensioni medio-grosse.
Attualmente il limone amalfitano ha un raccolto medio annuo di circa 8 mila tonnellate.
È purtroppo crescente il fenomeno dell’abbandono delle coltivazioni o della mancata raccolta dei frutti, soprattutto nei terreni siti nelle zone più impervie e montane, sia per la difficoltà ad arrivarci, sia perché sono piccoli terreni, appartenenti a singole famiglie.
Il problema dell’accessibilità ai fondi, posti nelle celebre “terrazze”, è da sempre la principale preoccupazione degli operatori agricoli dell’area. Un tempo i frutti erano trasportati nelle ceste poste sulla testa dalle donne, oggi sarebbe impensabile. Molti sono stati i tentativi di applicare modelli innovativi di trasporto già diffusi in altre aree, come le teleferiche e le monorotaie, ma il problema non è stato ancora risolto.
Il limone di Sorrento
Con il “fratello” della Costiera Amalfitana, questo limone condivide diversi aspetti: la tipicità temporale, dovuta alla tardività di produzione; la coltivazione su terrazzamenti; il successo commerciale.
Il “Limone di Sorrento” IGP viene coltivato in tutti i comuni della Penisola Sorrentina: Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento, Vico Equense, oltre che nell’isola di Capri, con i due comuni Capri e Anacapri.
Le caratteristiche del “Limone di Sorrento” IGP sono esaltate dalle particolari tecniche di produzione, ancora legate alla coltivazione delle piante sotto le famose “pagliarelle”, stuoie di paglia che vengono appoggiate a pali di sostegno di legno, solitamente di castagno, a copertura delle chiome degli alberi, al fine di proteggerli soprattutto dal freddo e dal vento e per conseguire anche un ritardo della maturazione dei frutti, che rappresenta uno dei principali elementi di tipicità di questa produzione.
Il “Limone di Sorrento” IGP ha ha probabilmente antenati che risalgono all’epoca romana. Sui numerosi dipinti e mosaici rinvenuti negli scavi di Pompei ed Ercolano sono raffigurati limoni molto simili agli attuali “massesi” e “ovali sorrentini”.
Ma le più importanti documentazioni sulla presenza di limoni nella zona risalgono all’epoca rinascimentale.
Ne parlano poi Torquato Tasso, nativo proprio di Sorrento, Giovanni Pontano e Giambattista della Porta.
Lo storico Bonaventura da Sorrento, nel 1800, ne testimonia la spedizione in tutto il mondo, soprattutto attraverso i bastimenti diretti verso l’America.
Sitografia
www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/limone-sorrento.html
www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/limone-amalfi.html
https://www.limonicostadiamalfi.it/#!/le-origini
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