Napoletano un giorno, napoletano per la vita: Giovanni Battista Draghi, noto come il Pergolesi, prodigio del’700 musicale italiano, benché originario di Jesi, nelle Marche, può, a tutti gli effetti, considerarsi partenopeo d’adozione.

Pergolesi a Napoli: il Genio di Jesi con l’anima Partenopea

Ed è infatti a Napoli che il compositore – ma anche violinista ed organista – ha dato alla luce le sue opere più significative e non solo per questioni anagrafiche ma anche perché accolto con favore dai mecenati del luogo e ispirato dalle bellezze locali e dallo spirito dei napoletani. Qui, animato da un fervore creativo che mai si placò, diede vita a pagine immortali di musica sacra e opere buffe, guadagnandosi fama mondiale fin da subito e lasciando un’impronta indelebile che lo consacrò ad imperitura memoria.

Dell’anima di Napoli, nelle sue composizioni, il virtuoso Pergolesi catturò l’ironia, talvolta così amara da divenire feroce, la passione travolgente ed infuocata e, ancora, quella vena di fatalismo che permea l’intera cultura locale.

L’Opera immortale di Pergolesi: lo Stabat Mater nei vicoli di Napoli

Ed è tra i vichi ‘e Napule che Pergolesi pensa, cova e, infine, dà alla luce il suo capolavoro più emblematico, lo Stabat Mater, lo straziante canto di dolore di Maria, donna e madre, che assiste all’agonia ed alla morte del Figlio ed alla sua Resurrezione,  in una sublimazione del dolore che, solo alla fine, si eleva nel divino della Fede. E questa opera straordinaria vede accrescere il proprio impatto sull’ascoltatore grazie alle ambientazioni che solo la città di Napoli riesce ad offrire, come uno stupefacente palcoscenico decorato di una scenografia scolpita tra le lacrime della città.

Giovan Battista Pergolesi ritratto

Benedikt Sauer, da Shubert a Scarlatti, a Pergolesi: la visione del direttore – regista

Ne ha colto il grandioso spirito un giovane e talentuoso artista, ora direttore d’orchestra, ora compositore, ora musicista che unisce l’entusiasmo di un’età indefinita alla conoscenza ed alla competenza che sembrano derivare da esperienze decennali: Benedikt Sauer – una vita tra Germania, Bologna, Firenze e, infine Napoli, passando per le università, i conservatori musicali e i teatri di mezza Europa, coccolato e viziato dalla critica, unanimemente benevola nei suoi confronti, ha annusato ed ascoltato i luoghi dell’anima di Pergolesi, alla ricerca dell’ambientazione perfetta.

Il progetto di Sauer porta in scena lo Stabat Mater pergolesiano con vivacità e passione, traghettando l’opera immortale direttamente nei cuori degli ascoltatori, colpiti dalla vis dell’esecuzione come da uno schiaffo potente che scuote e trascina, con forza, attraverso il dolore che diviene riscatto, viatico per la beatitudine.

Con l’Ensemble Mercadante, che unisce più di 20 elementi oltre alle voci superbe di Francesca Manzo – Soprano e Caterina Piva – Mezzosoprano, Benedikt Sauer attraversa i luoghi dell’intero settecento musicale partenopeo, in una raccolta che va da Schubert a Scarlatti, con il Salve Regina, fino allo Stabat Mater di Pergolesi: l’autunno dell’ensemble Mercadante ha cucito una mise en scene indimenticabile, legando i tre compositori alla città di Napoli con un filo cucito sulle opere dei loro capolavori. Persino con l’austriaco Schubert che, invero, con la città partenopea ha davvero poco in comune, ma di cui è stato raccontato – attraverso il pentagramma – la seduzione che, su di lui, debba aver esercitato la vivacità e la musicalità del ‘700 italiano.

Teatro Fiorentini di Napoli antico

L’oro di Napoli nelle opere di Pergolesi

Napoli ha accompagnato l’intera vita artistica del genio di Jesi, colpito da spina bifida e morto a soli 26 anni: dall’età di 15 anni, quando fu accolto al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, Pergolesi si distinse come eccellente violinista, apprezzato nella scuola musicale napoletana. Qui, grazie al patrocinio del marchese Cardolo Maria Pianetti, si formò completamente nell’arte musicale.

Dal teatro dei Fiorentini al San Bartolomeo

Durante gli anni di studio, il Pergolesi aveva già lavorato ad un’altra sua composizione: La fenice sul rogo, ovvero la morte di San Giuseppe, grazie alla quale gli fu immediatamente commissionata l’opera seria La Salustia, da eseguire presso uno dei maggiori teatri di Napoli, il San Bartolomeo. L’opera subì, però, numerose vicissitudini, tra le quali la morte improvvisa del protagonista che ne ritardarono la messa in scena avvenuta, infatti, solo nel 1732. Intanto, l’artista fu assunto come maestro di cappella da uno degli eletti della municipalità napoletana, il principe di Stigliano Ferdinando Colonna, presso il quale compose altre opere serie e liturgiche.

Compose per il Teatro dei Fiorentini di Napoli, l’opera buffa Lo frate ‘nnamurato e, con La Serva Padrona, debuttò  al teatro San Bartolomeo.

Il sodalizio con i duchi Carafa di Maddaloni

Pergolesi venne poi chiamato a Roma dai duchi di Maddaloni a dirigere la Messa in fa maggiore in onore di San Giovanni Nepomuceno  e, rientrato a Napoli, venne assunto al servizio della Casa Maddaloni dal duca Domenico Marzio VIII Carafa. A lui fu presumibilmente dedicata la Sonata in fa maggiore, opera per violoncello e continuo, attribuita al compositore di Jesi. Dopo una parentesi romana, dove gli fu commissionata l’opera Olimpiade, eseguita presso il teatro Tor di Nona di Roma, su libretto di Metastasio, Pergolesi ritornò a Napoli, dove gli venne riconosciuta la carica di organista soprannumerario presso la cappella regia. Qui compose la sua Salve regina in do minore, mentre per il Teatro Nuovo, terminò il Flaminio nel 1735.

La  forza del dolore: lo Stabat Mater

Sempre per la famiglia aristocratica dei duchi Carafa di Maddaloni diede alla luce lo Stabat Mater, commissionatogli per le celebrazioni settembrine dedicate alla Vergine nella chiesa di Santa Maria Ognibene dei Sette Dolori, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, oggi considerata il luogo che ispirò e tenne a battesimo la più venerabile tra le opere di Pergolesi, ancor prima della più blasonata Chiesa di San Luigi a Palazzo.  Nella ricostruzione di Sigismondo, che vuole quest’ultima come il luogo ispiratore dello Stabat Mater, l’opera sarebbe stata commissionata a Pergolesi dall’Arciconfraternita dei Sette Dolori ma i documenti relativi non sono mai stati ritrovati e, quindi, appare più plausibile che a commissionare l’opera sia stato un confratello in particolare, appartenente alla famiglia Carafa.

In quella che appare, sempre più, come la cornice naturale dello Stabat Mater pergolesiano, Sauer ha voluto fare tappa con un memorabile concerto: lo scorso 15 settembre, ammaliati dalle superbe voci di Silia Valente, soprano e Caterina Piva, mezzosoprano, il pubblico ha tributato onori ed applausi all’Ensemble Mercadante diretta da Sauer . Una location scelta non a caso, ma attraverso una proiezione del visionario direttore d’orchestra che ha colto la simbologia della scalinata che traghetta dalla sofferenza alla pace. Un profondo legame anche scenografico, quello tra l’opera e la chiesa, che non può apparire casuale, corroborato dalle ricerche di Claudio Toscano, docente di UniMilano e direttore del Centro Studi Pergolesiano e che ipotizza che proprio la chiesa di Santa Maria Ognibene dei Sette Dolori il luogo dove la “gestazione” dello Stabat Mater ebbe inizio.

L’ensemble ha, poi, replicato tra le navate della Chiesa di Gesù Nuovo, con la soprano Francesca Manzo e la mezzosoprano Caterina Piva, il 30 settembre coronando con successo la visione catartica di Sauer.

L’ultimo “Scherzo”, l’addio

Nel 1736, quando aveva appena ventisei anni, Pergolesi morì di tubercolosi presso il Monastero dei Padri Cappuccini di Pozzuoli, cui dedicò il suo celebre “Scherzo” e dove, leggenda vuole, completò lo Stabat Mater lo stesso giorno in cui morì: la città di Pozzuoli ne celebrò la grandezza accogliendone le spoglie, che riposano, da allora, nella Basilica di San Procolo, il duomo della città.

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