Analisi del film
“Parthenope” di Paolo Sorrentino, analizza il rapporto complesso e stratificato tra la città di Napoli e il mare. Da un lato, esso è fonte di vita, evocata nel mito della sirena Parthenope – e dall’omonima protagonista del film – simbolo della nascita e della fondazione della città. Dall’altro lato, è associato alla morte, esemplificata nel suicidio di Raimondo, il fratello della protagonista.
Il mare evoca sentimenti contrastanti: bellezza e splendore ma anche terrore e insicurezza.
Questa ambivalenza riflette la condizione stessa di Napoli ed è ulteriormente innescata dalla vista del figlio del prof. Marotta fatto di “acqua e sale”, che rappresenta simbolicamente nella sua condizione di macrocefalo obeso, grottesco, iperbolico, maestoso, affascinante ed inquietante al tempo stesso, la percezione del mare per i napoletani; laddove il prof. Marotta incarna la Napoli storica e Parthenope quella delle origini.

La scena finale sembra suggerire una riconciliazione con Napoli e il mare. La protagonista, ormai anziana, guarda appagata la celebrazione dello scudetto dei tifosi a bordo una nave-carosello, quasi come se avesse finalmente accettato la dualità che la caratterizza.
Infine la disillusione: la voce fuori campo di Peppe Lanzetta – il cardinale Tesorone nel film – afferma lapidaria: “E ricordate, Dio non ama il mare”.
Questo ammonimento interrompe la possibile riconciliazione e riporta l’attenzione sul rapporto dicotomico Napoli-mare.
Geopolitica del mare e Napoli
Questo rapporto complesso si può estendere all’intera penisola italiana, come ha spiegato Francesco Maselli nel libro “L’Italia ha paura del mare”. L’autore ha inoltre affermato: «Napoli è uno dei porti meno importanti nel Mediterraneo. Non è mai stato un porto importante dal punto di vista militare e commerciale. Da capitale del regno era il centro politico-amministrativo, non ha mai avuto una forte vocazione marittima. Il golfo ha assunto una funzione di abbellimento. Il punto di riferimento universale è il Vesuvio. Napoli non è il cuore della marittimità italiana».

Il vulcano è anche l’espressione delle forze telluriche in tutta la loro potenza. Eppure, in passato era il faro di Santa Lucia a rappresentare il massimo simbolo identitario. La perdita di questo simbolo potrebbe suggerire una disconnessione tra Napoli e l’elemento marittimo.

Napoli ha attraversato eventi che hanno definito il suo rapporto con il mare. Fondata nel VIII secolo a.C. su uno sperone di tufo, Napoli si distaccò dal mare nel V secolo, alterando la sua configurazione urbanistica e creando un divario tra il centro abitato e il porto. Il ruolo degli operatori economici napoletani nei traffici del Mediterraneo era ridotto rispetto a quello esercitato da amalfitani e genovesi nel Basso Medioevo. La distanza col porto rifletteva una visione del mare come elemento di instabilità e minaccia per le città. Solo tra il XIII e il XVI secolo Napoli iniziò a legarsi maggiormente al suo porto, evolvendo in un’importante potenza commerciale europea, capace di attrarre investimenti e accrescere il proprio prestigio.
In seguito, il porto divenne un cruciale snodo strategico durante le contese navali contro l’Impero Ottomano, con un continuo passaggio delle forze navali spagnole. Questa fase vide la nascita di nuovi quartieri e un’espansione urbana che raddoppiò l’estensione della città, portandola a ospitare circa 3 milioni di abitanti distribuiti lungo il litorale del golfo. Nella strategia della talassocrazia britannica, l’unificazione fu incoraggiata anche allo scopo di ridurre l’influenza borbonica nel Mediterraneo mantenendo la propria supremazia, condizione che verrà messa nero su bianco con il Tratto Anglo-Italiano del 1887. Tra gli eventi più significativi in tempi recenti: l’arrivo del comando della Sesta Flotta e della Naval Support Activity, che nell’ottica statunitense ha conferito alla città un ruolo strategico esteso ben oltre l’area mediterranea. Non mancano episodi drammatici, come l’epidemia di colera del 1973, introdotta proprio attraverso il mare.
Bibliografia
Fonte: Limes (L’italia è il mare), Daniele Demarco (Perchè il mare non bagna Napoli), 2020.
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