Il guappo è una delle figure più note dell’universo della cultura popolare napoletana, eppure le sue sfumature sono difficilissime da definire.
Spesso si confonde con il camorrista ed è una cosa sbagliatissima: il guappo napoletano non era affiliato all’Onorata Società, anzi, mal sopportava le regole. Viveva secondo un suo personalissimo codice d’onore ed era un personaggio spavaldo, arrogante, grande sciupafemmine, amante della rissa e della violenza utilizzata per “raddrizzare torti” nel rione o addirittura nella strada da lui eletta come “territorio“. Ogni quartiere di Napoli aveva infatti il suo guappo, che passeggiava con vestiti vistosi, una camminata sguaiata e un incedere arrogante e tronfio.
Erano temuti e rispettati dal popolo del quartiere, spesso addirittura ammirati per le gesta eroiche e violente che andavano a punire i “cattivi” e i disonesti. Potremmo dire che in alcuni casi erano amati per i loro metodi di giustizia spesso ben più efficaci delle forze dell’ordine perché agivano in modo chiaro e diretto, senza alcun vincolo legale.
Nicola Jossa, ad esempio, fu uno dei guappi più famosi della Storia, tanto da finire sul tre di bastoni.
Insomma: potremmo definire il guappo un “libero professionista della violenza”, un giustiziere di quartiere.
La guapparia, un codice d’onore antichissimo
Spesso ci viene dipinto il guappo in modo superficiale, come un “re dei poveri” che gira per Mergellina o per la Villa del Popolo in cerca di risse per uno sguardo di troppo verso la “propria femmina“ o per fare bella mostra dei suoi vestiti.
Questa narrazione ci viene tramandata in modo stereotipato e folkloristico anche da diversi libri antichi, come “Usi e Costumi dei napoletani” di Francesco de Bourcard, che è abbastanza “turistico” in diverse cose raccontate.
Il codice d’onore della guapparia era infatti un fenomeno accettato dal popolo come una legge naturale, un normale ingranaggio della società ammirato per tutta la narrativa che creava attorno a sé: allo sgarbo corrispondeva uno sfregio; a una prepotenza, la vendetta; a una ingiustizia verso la sua gente, l’intervento riparatore.
Il guappo è astuto, intelligente, rispettoso del nemico se affrontato ad armi pari, mantiene la parola e rispetta religiosamente donne e bambini; si tiene autonomo dal potere statuale e disdegna ogni forma di pagamento quando difende i “deboli”. Il suo linguaggio è teatrale e vistoso, fatto di gestualità ampie, con parole onomatopeiche e doppi sensi minacciosi.
Una volta accumulate ricchezze, rispetto e timore, il guappo ostenta con orgoglio la sua posizione di privilegio nei confronti del popolo, che lo invoca come un salvatore, ma teme la sua ira più di ogni altra cosa.
Una lunghissima storia che parte in Spagna
La necessità della sua presenza all’interno della società napoletana è antichissima e deriva proprio dai sempre complessi rapporti fra popolo e Stato, in cui politica e cittadinanza viaggiarono per secoli su due piani completamente diversi. Probabilmente la figura del guappo arrivò a Napoli in periodo aragonese (la parola stessa viene dallo spagnolo guapo, che significa “bello, mascalzone“).
Il punto di consacrazione della sua figura, però, avvenne durante il lunghissimo vicereame spagnolo, con il popolo che trovò nello Stato un oppressore più che un elemento regolatore.
Lo dimostrano le infinite rivolte fra il ‘500 e il ‘600 e i tentativi falliti dei vari nobili e viceré nel cercare di placare il popolo con inutili rappresentanti nelle assemblee cittadine. Allo stesso modo gli avvocati e i tribunali erano percepiti più come macchine di tortura che come strumenti di giustizia, considerando la pessima fama di cui godeva la Gran Corte della Vicaria.
Quel che è certo è che, fra le strade della città, si fece necessaria la presenza di un giustiziere, un uomo prepotente e duro, ma garante degli equilibri sociali dove lo Stato non interveniva. E quello era il guappo, in una visione un po’ donchisciottesca tipica della narrativa popolare dell’epoca.
Questo personaggio troverà terreno fertile nel popolo napoletano anche nei secoli successivi, almeno fino agli anni ’70 del secolo passato.
Nell’immaginario popolare, molto più semplice nelle analisi, ogni luogo aveva un giustiziere-cavaliere ammirato dal rione, desiderato dalle donne e temuto dai nemici: un sogno di successo personale legato a canoni antichissimi.
La donna del guappo
Altro elemento essenziale per la rispettabilità del guappo era anche la propria donna, che doveva sempre essere bellissima, forte, volitiva, ma allo stesso tempo sottomessa alla volontà del proprio compagno: magistrale è l’interpretazione di questi principi realizzata da Claudia Cardinale nel film “I Guappi” di Pasquale Squitieri.
Il guappo nell’arte e nella letteratura
Per tracciare delle figure profonde dell’immagine del guappo, dobbiamo interpellare due uomini d’arte.
Il maestro Eduardo De Filippo, nella storica commedia “Il sindaco del Rione Sanità”, rappresenta infatti la figura di un uomo ormai anziano, ma ancora potente e sostnuto. Lui stesso dice di non essere un camorrista, ma una figura tipica del tessuto sociale napoletano, un “sindaco” appunto, che ha un incarico del popolo. E ancora, Vittorio De Sica ne dedica un episodio in “L’oro di Napoli”.
La versione giovanile la potremmo ritrovare invece nel film di Squitieri, “I guappi”, che disegna per bene invece i comportamenti e i codici della guapparia.
Di tutt’altra immagine invece sono le poesie ottocentesche di Ferdinando Russo, che i guappi li conosceva personalmente, e infatti ci ha tramandato figure di personaggi che non avremmo mai potuto conoscere.
Se poi andiamo più indietro nel tempo, precisamente nel 1619, troviamo Giulio Cesare Cortese che pubblica “Micco Passaro innamorato“: si tratta addirittura un poema eroico su un guappo che raduna un esercito per aiutare il Re in Abruzzo.
E ancora: nella musica, sia quella d’autore che in quella popolare, vengono continuamente citati “guappi” e “guapparia“ (addirittura Libero Bovio ne fa una canzone!).
In anni più recenti, la figura di Giuseppe Navarra conserva un ruolo di primissimo piano con la sua avventura nel 1947 per recuperare da solo il tesoro di San Gennaro a Roma e riportarlo a Napoli, dato che la Chiesa non aveva alcuna intenzione di farlo ritornare nella legittima sede.
Questa operazione, nonostante sia stata portata a termine con metodi poco chiari, fece diventare Navarra una figura leggendaria. E a lui questo interessava.
È generalmente riconosciuto che Navarra, durante e dopo la guerra, abbia praticato il contrabbando ed abbia derubato più volte tedeschi ed alleati per procurarsi beni da vivere, rendendolo agli occhi del popolo come un vero e proprio “Robin Hood”. Numerosissime sono le canzoni, le rappresentazioni teatrali ed addirittura i film in cui lui è protagonista.
Il guappo e la camorra
Il guappo non condivideva gli stessi intenti criminali della Camorra: agiva da solo rispettando arbitrari e personalissimi canoni di giustizia. Anche le ambizioni erano completamente diverse: se infatti la camorra, con il suo evolversi all’interno dello Stato Italiano, ha puntato subito al potere e alle istituzioni (come poi scopriremo nell’Inchiesta Saredo sulla Camorra Amministrativa del Comune di Napoli), il guappo non aveva il minimo interesse verso il potere: lui stesso rappresentava il potere del suo microcosmo, in cui manteneva l’ordine ed era garante della “sua” gente.
Una attività tanto al di fuori dalle righe non era però al di fuori dei radar della camorra, che ha sempre esercitato un controllo capillare su ogni attività popolare. Non ci sono statistiche e dati storici su quanti guappi diventarono camorristi e quanti camorristi esercitavano il ruolo di guappo di zona, ma la tradizione ci ha lasciato qualche esempio interessante, oltre a Nicola Jossa menzionato all’inizio della nostra storia.
Ciccio Cappuccio fu il primo a unire la figura di capintesta dell’Onorata Società al modo di fare guappesco ed “eroico”: nacque infatti come guappo di quartiere e diventò in carcere camorrista, senza mai dimenticare la sua natura. La sua figura nell’immaginario popolare diventò tanto famosa da trasformarsi in personaggio dell’opera dei pupi e del teatro popolare: ci sono addirittura sceneggiati in suo onore!
D’altro canto, dinanzi alla Bella Società, che in termini di monopolio della violenza non ha mai avuto rivali, anche il più gagliardo fra i guappi era costretto ad abbassare lo sguardo.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Monica Florio, Il Guappo nella storia, nell’arte e nel costume, Kairos Edizioni, Napoli, 2004
Francesco Barbagallo, La Camorra, Il Mulino, Bari, 2013
Francesco de Bourcard, Usi e Costumi dei Napoletani, Polaris Edizioni, La Spezia, 1991
Ernesto Serao, La Camorra, Bideri, Napoli, 1973
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