Se Enrico Caruso potesse riaprire gli occhi dopo un sonno lungo quasi un secolo, si risveglierebbe sicuramente davanti al murales dai colori vivaci di Piazza Ottocalli. Probabilmente si getterebbe invano fra le patacche vendute dai negozi cinesi dell’Arenaccia, alla ricerca di un buon grammofono che possa riprodurre i suoi dischi.

Oppure cercherebbe il suo nome su Spotify? Chissà.

Un cantante tecnologico: il primo disco

Associare Spotify a Caruso non sarebbe poi così folle se il tenore napoletano fosse ancora vivo: era infatti un appassionato di nuove tecnologie, attento studioso delle innovazioni nel campo musicale e del loro ruolo che, un giorno, avrebbero assunto nel mercato. Tutti i biografi del tenore napoletano concordano appunto sul fatto che l’intuizione di registrare e vendere le proprie canzoni su disco fu una delle chiavi principali del suo successo mondiale.

Dopo millenni di civiltà che tramandarono le loro culture in canzoni affidate alle voci e alle memorie umane, fu infatti una rivoluzione epocale l’introduzione un supporto sul quale incidere anche i suoni: il disco a 78 giri fu il mezzo per conservare la musica viva, intatta e reale, come una immagine: il grammofono era la macchina fotografica del suono e Caruso lo capì bene, tanto da vendere nel 1903 il suo primo disco.

Per chi poteva permetterselo, quindi, bastava acquistare un disco per avere Caruso a casa assieme a tanti altri autori: ecco che, grazie ad un supporto di gommalacca, ‘O Sole Mio era cantato contemporaneamente a Parigi, Milano, San Francisco e Vienna dalla stessa persona.

Il successo di Caruso fu planetario e non conobbe precedenti, tanto da poter essere considerato la prima icona pop della Storia del disco. In effetti, nella musica classica ci sono stati tanti esempi di personaggi che hanno conquistato l’amore delle folle (qualcuno ha parlato di Lisztomania?), ma la particolarità di Enrico Caruso fu quella di inaugurare la stagione della musica commerciale, diventando l’araldo della melodia da consumare comodamente a casa e non più al teatro.

Caruso che Posa accanto all’ultimo modello di fonografo Victrola

Un milione di dischi per Enrico Caruso

L’innovazione del disco, però, non fu percepita positivamente dai suoi contemporanei: i cantanti lirici più famosi storcevano il naso dinanzi alla poca fedeltà della riproduzione dei supporti audio, che erano ancora troppo rudimentali per riuscire a catturare l’intera gamma tonale delle voci più raffinate. Non esisteva infatti il supporto dell’elettricità ed i microfoni nella musica sarebbero stati introdotti nel 1910: le voci erano captate da un “grammofono“, una grossa e goffa struttura inventata da uno scienziato tedesco nel 1889 che funzionava in modo molto simile ad un orologio ed incideva le voci su un piatto di gommalacca.

Nell’idea di Caruso, infatti, la nuova musica avrebbe dovuto superare il tradizionale snobismo dell’opera classica verso la musica popolare. Un ascoltatore casuale è interessato alla melodia orecchiabile, alla voce del cantante e alla leggerezza del testo: qualcosa che, dopo averla ascoltata dal vivo, tornerà a casa canticchiandola in famiglia. Praticamente Caruso capì, per primo, come trasformare lo spettatore di una esibizione in potenziale acquirente della discografia di un cantante. E così alternò le arie di Rossini e Puccini alla musica leggera della tradizione napoletana in un repertorio che ancora oggi è amatissimo dai puristi della musica.

L’intuizione fu vincente: Caruso fu il primo cantante al mondo a vendere più di un milione di dischi, cifra paragonabile (con le dovute proporzioni dell’epoca!) al successo commerciale di un Michael Jackson. E, assieme alla sua voce, nelle case di tutto il mondo arrivò la canzone classica napoletana.

La casa di Enrico Caruso

Enrico Caruso: da meccanico a superstar

Le origini di Enrico Caruso sono tutt’altro che nobili: nacque nel 1873 nel quartiere dell’Arenaccia, a Piazza Ottocalli, in tempi in cui la zona era nota per essere il covo delle peggiori canaglie di Napoli. Addirittura la vicina zona dell’Imbrecciata a fine ‘800 fu chiusa con cancelli e soggetta a coprifuoco per cercare di limitare le attività criminali!

Da bambino Enrico Caruso svolse i compiti più umili, dal meccanico al facchino, ma aveva ben chiaro il suo futuro: già a 10 anni cominciò ad esibirsi come posteggiatore nelle spiagge napoletane durante le stagioni estive finché, spinto dalla madre, si dedicò completamente alla musica recitando nei teatri più piccoli di Napoli. Era già padrone della sua voce profondissima ed ogni volta si diceva certo di ricevere applausi alla fine di ogni esibizione. Con l’impeto e la sfrontatezza tipica dei vent’anni, Enrico Caruso fu capace di affrontare l’esordio alla Scala, a Parigi e al Cairo senza la minima esitazione.

Proprio la sua Napoli gli fu fatale: dopo una lunga tournée tornò al San Carlo e, con voce incerta e tradita dall’emozione, non sfoderò una buona prestazione canora. Nonostante il flop, il pubblico napoletano acclamò con affetto il suo concittadino. Enrico Caruso era però estremamente sicuro di sé e non accettava qualunque sorta di fallimento: prese malissimo la critica che ricevette sul Pungolo, il giornale di teatro più autorevole dell’epoca e rispose con un piccato “a Napoli tornerò solo per mangiare vermicelli!“.

Fu di parola: non si esibì più in Italia e tornò a Napoli solo per le vacanze.

Trasferitosi in America, nel 1902 Enrico Caruso trovò il suo successo: collezionò un pienone dietro l’altro nei teatri di tutto il Nuovo Continente, con la critica incantata, il pubblico italoamericano in visibilio, le prime incisioni andate a ruba nei negozi di grammofoni americani. Da buona e giovane superstar, il tenore napoletano cominciò a pretendere ingaggi colossali per cantare nei teatri più prestigiosi d’America, ma non dimenticò mai il cuore napoletano: si esibiva infatti gratuitamente in tutti i locali italoamericani.

Caruso era più famoso del presidente Roosevelt

Il nome di Enrico Caruso a trent’anni era già promesso all’eternità: in un sondaggio di un giornale newyorchese emerse che nel 1909 Caruso era più famoso del Presidente Roosevelt.
La fama portò anche guai e fu rapito dalla Black Hand, una organizzazione segreta che rapiva persone per chiedere riscatti milionari. Neanche in quell’occasione Caruso si scompose: “ero sicuro che sarei uscito vivo” esclamò dopo essere stato salvato grazie all’intuito del detective italiano Joe Petrosino.
Qualche anno dopo riuscì anche ad uscire vivo dal terremoto di San Francisco, che rase al suolo la città nel 1906: l’albergo dove alloggiava crollò qualche ora dopo la sua fuga.

La sua sicurezza e l’amore per il lavoro lo assistettero anche quando, nel 1921, ebbe la prima fitta al costato durante un’opera, ma minimizzò il dolore. Continuò ad esibirsi senza sosta, nonostante ormai tossisse sangue e faticasse anche a rimanere in piedi per pochi minuti: “è un male passeggero, tornerò più forte di prima“, diceva. Tornò a Napoli e, in fin di vita, mandò un telegramma per tranquillizzare i suoi impresari americani: “sto benissimo, tornerò presto ad esibirmi“. Il telegramma arrivò però al destinatario dopo la morte del tenore.

Caruso che assiste alla realizzazione di un suo busto, New York, 1914

Ingrata patria

Dopo la morte di Enrico Caruso, la sua Napoli solo nel 1975 gli dedicò un piccolo busto nella sua piazza Ottocalli, proprio in tempo per vedere l’antica contrada che portava al casale di Secondigliano devastata dal ponte della Tangenziale. A New York, invece, ci pensò un altro napoletano, Evaristo Mancusi, a creare un museo dedicato al suo concittadino già nel 1920. I funerali in America furono infatti percepiti come un vero e proprio lutto nazionale.

Il museo italiano dedicato a Caruso si trova a Lastra a Signa, in provincia di Firenze: https://www.museoenricocaruso.it/it/.

Per secoli ci siamo chiesti quale sia stata la voce dei protagonisti della Storia, dai canti greci di cui parlava Platone alle melodie suonate da Pergolesi in persona: non esiste nulla se non la fantasia per immaginarle.  L’ottimismo di Caruso che lo salvò più volte dalla morte, invece, fu profetico anche per il futuro: grazie proprio alle 208 canzoni registrate su disco, la voce del tenore napoletano diventò immortale. Ed oggi, in un futuro inimmaginabile nel 1921, Caruso canta su Spotify le canzoni che ascoltavano dal vivo i nostri bisnonni.

-Federico Quagliuolo

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