In pochi sanno che Publio Virgilio Marone è ricordato dal popolo napoletano non tanto come poeta, ma soprattutto come mago ed alchimista e, prima dell’arrivo del culto di San Gennaro, era spesso invocato come una sorta di “santo pagano”. Non era napoletano di origine: nacque vicino Mantova, nel 70 a.C.
A ventisei anni arrivò a Napoli, all’epoca una delle capitali della filosofia epicurea.
Qui il poeta frequentò la scuola del filosofo Sirone, come testimoniato anche nella sua prima opera: le Bucoliche.
Virgilio: da mago a Filosofo
Uno dei motivi principali che gli valsero l’attribuzione di poteri magici è il fatto che aderì anche al neopitagorismo. Questa corrente filosofico-magica si concentrava sullo studio dell’alchimia e sull’osservazione della natura e dei suoi fenomeni attraverso lo strumento del numero, della figura geometrica, della logica dialettica.
Inoltre la dottrina neopitagorica enfatizzava il tema della metempsicosi, ovvero della reincarnazione dell’anima come conseguenza di una colpa.
L’alchimia e la magia erano necessarie per raggiungere la purificazione dello spirito, in grado di sottrarre l’anima al ciclo naturale di reincarnazioni.
Come quella epicurea, anche questa filosofia era molto diffusa nella Magna Grecia e in particolare a Neapolis. La città infatti, nonostante la conquista romana, aveva conservato usi e costumi ellenici che in parte sono giunti fino ai giorni nostri, spiegandone il fascino esoterico e sospeso nel tempo.
Le opere ispirate alla Campania
Ma torniamo a noi; dopo la pubblicazione delle Bucoliche, Virgilio entrò a far parte del circolo di Mecenate (entrando quindi in contatto anche con Ottaviano Augusto), e cominciò a lavorare al suo secondo grande poema, le Georgiche, ispirato ai paesaggi campani.
E Napoli ritorna anche qui, descritta come amato luogo di ritiro e di impegno letterario.
Ma non finisce qui: grazie al fascino della terra flegrea, il Poeta collocò la porta degli Inferi nei pressi del Lago d’Averno, luogo immortalato nei secoli nel Canto VI dell’Eneide.
La leggenda di Capo Miseno
Miseno era figlio del dio dei venti, Eolo, e compagno di armi di Enea.
La sua morte era stata già prevista dalla Sibilla, il misterioso oracolo di Cuma, come necessario sacrificio per permettere l’accesso di Enea all’Ade, la cui porta si trovava, appunto, nel Lago d’Averno.
Miseno andò incontro alla morte peccando di ὕβϱις (superbia), perchè osò sfidare gli dei in una gara di tromba.
A quel punto Tritone, figlio del dio del mare Poseidone, lo uccise annegandolo, ed il suo corpo venne ritrovato sulla battigia dai suoi compagni.
I troiani iniziarono quindi la solenne cerimonia funebre.
Il personale contributo di Enea, il più grande amico di Miseno, fu quello di erigere, su ciò che rimaneva dei suoi resti, un vero e proprio monte sul quale collocò le armi, il remo e la sonora tromba del defunto.
Stiamo parlando di Capo Miseno, che prese il nome da questo antico eroe.
Dunque Virgilio poeta, ma soprattutto Virgilio mago.
Varie leggende che lo vedono come protagonista narrano di come protesse Partenope da malattie, attacchi ed altre sciagure grazie alle sue capacità esoteriche.
La leggenda più importante riguarda il più antico dei castelli presenti a Napoli: il Castel dell’Ovo.
Questo prende il nome proprio dalla leggenda secondo cui Virgilio mise un uovo in una gabbia e collocò quest’ultima nelle segrete del castello.
Poi annunciò che se l’uovo fosse rimasto intatto, la città sarebbe stata al sicuro per sempre.
La tomba di Virgilio
Morì nel 19 a.C. a Brindisi, di ritorno da un viaggio in Grecia, e amò così tanto Napoli che chiese di esservi seppellito. E così fu.
“Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces.”
Tomba di Virgilio
“Mantova mi generò, la Puglia mi rapì (alla vita), mi tiene ora Napoli; cantai i pascoli, i campi, i condottieri”.
E’ questo l’epitaffio inciso sulla sua tomba, uno dei luoghi più esoterici e misteriosi della città, situata in un parco a lui dedicato. E la tradizione vuole che la frase fosse stata dettata dallo stesso Virgilio in punto di morte.
Un culto eterno, un “santo pagano”
Ma il Poeta rimase vivo e sentito nella coscienza del popolo napoletano almeno fino al medioevo, venerato come patrono e protettore della città. Insomma, un vero e proprio santo pagano.
A partire dall’XI secolo però, Napoli fu assediata e conquistata dai normanni che, allo scopo di domare il ribelle spirito partenopeo, profanarono la tomba di Virgilio.
Questo gesto oltraggioso gettò la popolazione nella disperazione e nello sconforto più totale. Ma le ossa di Virgilio vennero recuperate di nascosto dai napoletani e trasferite in segreto in un’urna (che richiama la forma dell’uovo) messa poi al sicuro nelle fondamenta del Castel dell’Ovo.
Il culto di Virgilio cessò solamente quando il cattolicesimo impose una nuova figura per sostituirlo: quella del vescovo Ianuario, che divenne poi il tanto amato e celebrato San Gennaro, al quale ancora oggi si dedicano processioni, preghiere, raccomandazioni.
Ma ai piedi del Vesuvio Napoli resiste, protetta in eterno dagli incantesimi di Virgilio.