Il Colera fu un’emergenza che flagellò Napoli e il resto d’Europa per tutto il XIX secolo. Ci furono epidemie nel 1828, 1836, 1855, 1866 e nel 1873, condite da complottismi di ogni sorta. La causa, per lo più, erano le numerose spedizioni coloniali che, al ritorno, portavano infezioni e batteri da ogni parte del mondo.

A Napoli, però, l’emergenza diventò lo spunto per sollevare una questione sociale e politica che portò al Risanamento della città, con lo sventramento di tutti gli antichi quartieri. Proprio la Galleria Umberto, ad esempio, fu costruita da privati espropriando tutti i palazzi dell’antico Rione Santa Brigida, creduto come il punto d’origine del morbo. In realtà il vibrione non era assolutamente di origine napoletana.

Colera fuoco
Cadaveri e vestiti bruciati per disinfezione

Il colera, fra francesi e guardie corrotte


Il vibrione era di origine indiana e, come ricostruisce Frank Snowden, docente di storia della Medicina all’università di Yale, fece un lunghissimo viaggio prima di arrivare a Napoli passando dal delta del Gange per l’intera Europa, a causa dei viaggi coloniali inglesi e francesi. La prima notizia del morbo arrivò nel 1883, con una epidemia di colera in Egitto. Per l’occasione fu riattivato il lazzaretto di Nisida per portare in quarantena tutti i possibili arrivi infetti. La misura fu simile a quella organizzata da Ferdinando IV a Fuorigrotta.

L’arrivo del colera a Napoli fu però un “regalo” indesiderato della Francia che, in una psicosi dovuta alle credenze mediche dell’epoca (si credeva che le malattie si diffondessero attraverso i miasmi provenienti dalle falde acquifere infette dei quartieri più poveri), diede il via a migliaia di espulsioni di italiani possibili infetti, abitanti in condizioni di assoluta miseria a Marsiglia e Tolosa.
Le guardie poste al controllo dell’immigrazione, però, furono notoriamente inclini alla corruzione e numerosi furono i casi di immigrati ammalati fuggiti in città. Le condizioni erano quindi favorevolissime per dare origine ad una epidemia.

Anche le acque erano inquinatissime: i due acquedotti di Napoli erano ormai antichissimi e si appoggiavano addirittura sulla rete idrica romana e su un sistema di cisterne e canali scoperti soggetti ad ogni tipo di inquinamento.
Per capire la continuità storica di questa malagestione degli acquedotti, basta pensare che a farne le spese con il colera fu il Conte di Lautrec nel XVI secolo.

Nel 1828 il medico Salvatore De Renzi aveva segnalato le condizioni “putride” delle acque napoletane, ma non ci furono mai interventi di manutenzione delle infrastrutture e questo rafforzò la teoria dei miasmi. All’epoca Francesco I di Borbone teorizzò per la prima volta la possibilità di un “risanamento” della città, ma le operazioni si sarebbero dovute realizzare abbattendo conventi e chiese. E non era un’operazione possibile per una monarchia cattolicissima come quella di Napoli.

Condizioni igieniche precarie

Una lettera del 1884 del console americano Haughwouth citata nell’opera di Snowden chiarisce le condizioni igieniche della città: “a Napoli non esistono gli idraulici perché non esistono tubature e reti idriche come negli Stati Uniti. Gli spazzini puliscono le belle strade, come Toledo e Duomo, mentre nelle altre vie ci si limita ad aprire varchi nell’immondizia che viene raccolta da servizi privati che la rispargono in altre strade”.
Axel Munthe, medico svedese che amava Napoli, si scagliò contro il totale disinteresse e corruzione delle amministrazioni locali, spiegando in una sua ricerca come tutti i dati ufficiali fossero assolutamente falsati: fece notare che una singola ambulanza aveva trasportato in un mese 7015 ammalati, mentre i dati ufficiali del Comune affermavano che i colerosi in totale erano solo 9689. In tutta Italia si contarono circa 14mila morti dichiarati, con la sola Napoli che contò, quindi, ben più della metà delle vittime in tutto il paese.

Questa emergenza fu molto sentita dall’opinione pubblica nazionale, tanto da spingere il re Umberto I in persona a recarsi fra i colerosi, come ricorda la discussa “lapide di Pordenone” che si trova a Santa Teresa degli Scalzi.

La lapide di Re Umberto

Medici eroici

Durante l’epidemia di colera, si distinsero per l’operato eccellente numerosi medici napoletani, come Giuseppe Buonomo, che fu direttore della task force che gestì l’emergenza. Utilizzò il Convitto Pontano alla Conocchia, che si trova a Salita dei Giudici alla Sanità, per raccogliere i malati più gravi. La sua intuizione riuscì a salvare numerose vite e la sua attività (si racconta che lavorasse 20 ore al giorno!) gli valse la medaglia d’oro del comune di Portici, suo paese natale.

Di tutta risposta, Buonomo rifiutò il premio chiedendo al Comune di vendere la medaglia e donare il ricavato alle famiglie delle vittime dell’epidemia che lui aveva curato alla Conocchia. Oggi la strada porta il suo nome.

Un altro medico geniale fu anche Luciano Armanni, direttore all’epoca dell’Ospedale degli Incurabili, che riuscì a studiare e mettere in pratica eccellenti strategie di prevenzione.

Ospedale della Conocchia Colera
L’Ospedale della Conocchia, il luogo di morte per eccellenza

Il camorrista e Axel Munthe

Anche nelle attività di soccorso, poi, ci fu l’intervento della Camorra: racconta Munthe, in una serie di articoli raccolti in “La città dolente”, che fu aiutato da un camorrista, tale Salvatore Trapanese.
Il medico svedese salvò la vita alla figlia dell’uomo d’onore e lui, in cambio, gli fece ritrovare e riconsegnare l’amato cane che aveva perso giorni prima. Di lì, prendendo a cuore la salute del dottore, il malavitoso gli assicurò il rispetto del popolo e l’attività pacifica all’interno di tutti i quartieri popolari di Napoli. Munthe raccontò questo episodio ed altri in 13 lettere inviate al giornale di Stoccolma.

Ben differente era la situazione nella Napoli ricca, in cui i morti per colera furono poco più di mille e le acque erano fornite da apposite cisterne private, rifornite con acqua piovana o da fonti esterne.

Tumulti popolari durante l’epidemia di Colera

Comincia il Risanamento

L’epidemia di colera lasciò un segno profondissimo nell’opinione pubblica italiana e accese un vivace dibattito che portò, appena un anno dopo, alla Legge pel Risanamento di Napoli del 1885. Questa storia, però, l’abbiamo raccontata qui.

-Federico Quagliuolo

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