Il Rione Venezia è la perfetta rappresentazione di Bagnoli: la terra dei sogni perduti, la tomba delle illusioni, uno scheletro della violenza che fu fatta su una terra ricca e fertile che ospitava un antico insediamento di pescatori e, nei sogni di chi amava Napoli, sarebbe oggi diventata un quartiere turistico ammirato da tutto il mondo.
Andiamo per ordine. Ma, prima di tutto, ricordiamo che è in atto una raccolta fondi per realizzare un documentario sulla vita di uno degli uomini più geniali della storia recente:
https://www.produzionidalbasso.com/project/lamont-young-il-documentario/
Rione Venezia: il progetto di un architetto visionario
Smontiamo tutto ciò che si vede con gli occhi, cerchiamo di di non vedere più quel territorio affogato e asfittico, distrutto da una acciaieria ormai dismessa con davanti i suoi pontili.
Ed ora, tornati nel lontano 1900, incontriamo un uomo visionario, un napoletano con un nome ben poco meridionale: Lamont Young.
Era un architetto e urbanista, un genio al quale la storia non ha mai dato il giusto tributo, forse perché i suoi sogni erano troppo innovativi. Vedeva infatti in Bagnoli la speranza di un futuro turistico.
Era il 1872 e Young, giovanissimo, presentò un progetto straordinario al Comune di Napoli, che nel frattempo era in pieno fermento di rivoluzione urbanistica: una metropolitana cittadina ed una tangenziale sotterranea, che avrebbero collegato tutta la città.
Innamorato dei tramonti che oggi si vedono malinconici al Parco Virgiliano, Young ci vide lungo: un giorno il turismo sarebbe stato il motore economico di tante città costiere e Napoli doveva essere valorizzata in tal senso. Bagnoli sarebbe diventata una sorta di Venezia con le bellezze di Napoli a due passi.
Nel suo progetto dovevano infatti nascere una serie di canali artificiali, laghi e zone termali che avrebbero collegato i vari edifici del quartiere. I palazzi, invece, sarebbero stati ricchi di piante, giardini pensili e vedute panoramiche sul golfo di Bagnoli, con numerosi alberghi di lusso. Insomma, cose che oggi si vedono solamente in quei paradisi tropicali oltreoceano.
Per Young il Rione Flegreo era una opportunità, non un luogo sul quale speculare con casermoni e colate di cemento.
Anzi, nell’incipit del suo progetto presentato al Comune disse esplicitamente:
“Non ho voluto basare il mio progetto sopra una semplice speculazione di compra-vendita di suoli, che attualmente forma, per disgrazia dei Napoletani, il sostrato su cui si poggiano coloro i quali hanno fatto proposte per l’ingrandimento perimetrale della città: ho dovuto mirare principalmente a provvedere Napoli di tutto quello di cui ora manca”
Il Comune bocciò inizialmente il suo progetto perché “inutile e costoso“. Poi, sull’onda del Risanamento del 1884, l’intraprendente architetto (autore di opere straordinarie in tutta la città, come ad esempio Villa Ebe o il Castello Aselmeyer) decise di riproporre il suo progetto, aggiungendo anche una metropolitana cittadina come mai si era vista prima di allora in Europa.
La legge speciale per Napoli e la distruzione del sogno Rione Venezia
Durante il mandato di Nicola Amore, furono poi individuati dei territori per espandere Napoli. Dopo l’Unità d’Italia, infatti, l’antica capitale stava per affrontare una crisi economica senza precedenti: il passaggio traumatico dalla politica economica borbonica a quella piemontese, infatti, aveva portato al collasso numerosissime imprese di Stato come Pietrarsa ed altre, come quelle svizzere, che invece beneficiavano di regimi fiscali molto favorevoli.
Dopo il Risanamento, nei primi del ‘900 nel dibattito politico si fece impellente la necessità della realizzazione di una legislazione speciale per favorire l’industrializzazione di Napoli: per l’epoca il modello economico di successo era infatti quello delle città industriali, con immense fabbriche nelle immediate vicinanze (o proprio all’interno!) dei conglomerati urbani, una cosa che oggi farebbe rabbrividire qualsiasi urbanista.
Napoli, nei progetti del legislatore, doveva allinearsi in qualche modo a Torino e Milano, che stavano per esplodere come poli industriali fra i più avanzati d’Europa. Per la città fu quindi individuata la zona alle spalle del moderno Centro Direzionale (anche oggi si chiama Area Industriale) e la zona di Bagnoli: la vicinanza con il mare avrebbe dato poi un vantaggio strategico.
Era la pietra tombale sul progetto di Lamont Young.
La fine di un sogno
Un secolo e mezzo sembra lungo: separa generazioni, pensieri, uomini che, purtroppo, non potranno mai comunicare fra loro, se non attraverso antiche memorie e documenti.
Il sogno di Young dimostra invece che le cose non cambiano mai: il progetto fu boicottato proprio con appalti a dir poco discutibili. il Comune diede a Young un tempo strettissimo per trovare investitori e realizzare il suo progetto, altrimenti il terreno di Bagnoli sarebbe stato messo all’asta. L’architetto fece delle vere acrobazie per trovare investitori. Riuscì a trovare supporto solo all’estero. Ma non arrivarono mai le offerte sul tavolo del Comune e quindi Palazzo San Giacomo diede inizio all’asta per vendere Bagnoli.
Il proprietario dell’Ilva, scaduto il tempo per Young, acquistò Bagnoli ad un prezzo irrisorio. Ed il Comune di allora, forse miope, forse corrotto (e su questo abbiamo pochi dubbi, grazie all’Inchiesta Saredo), spazzò via l’intuizione un genio napoletano per far posto alle ambizioni commerciali di una immensa impresa ligure che avvelenò Napoli e di cui, oggi, si parla ancora per le sue tremende eredità a Taranto.
E Young morì suicida nella sua casa nel 1929.
-Federico Quagliuolo
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