Oggi scherzosamente si vende l’aria di Napoli in barattolo per i tanti napoletani emigranti nel resto del mondo. Un tempo, invece, erano gli stranieri a venire a Napoli per guarire dalle malattie respiratorie grazie alle proprietà “miracolose” dell’aria pura della città. Il soggiorno in Campania era consigliato dai medici come una terapia e troviamo menzioni simili anche fra le prescrizioni di Moscati che sono esposte nella chiesa del Gesù Nuovo.
Non è un caso, infatti, se gli ospedali di Napoli sono nati tutti fra i Colli Aminei e i Camaldoli, che un tempo era una zona collinare caratterizzata da enormi pascoli, campi coltivati e aria purissima. Probabilmente anche il nome del quartiere Sanità deriva dalla qualità eccellente della vita in zona.
Non è solo l’aria di Napoli ad essere speciale
Partiamo con un concetto: non esistono evidenze scientifiche sulle proprietà curative dell’aria di Napoli, anche se secoli fa i medici davano per certezza clinica questo fatto. Erano però altri tempi. Ma un fondo di verità c’è e va approfondito meglio.
D’altronde, il primo studio scientifico sulla qualità della vita in Campania è arrivato grazie all’americano Ancel Keys solo nel 1957.
È certo che la qualità dell’aria di Napoli, soprattutto in passato quando non c’erano automobili, navi da crociera e industrie, era eccellente. La salsedine e le altre proprietà del mare sono un toccasana per i polmoni, così come il clima mite e prevalentemente soleggiato che caratterizza il Sud Italia.
Allo stesso tempo la città, circondata dalle pinete secolari sulle colline, godeva quindi di una massiccia presenza del verde e della presenza mare. Anche l’acqua da bere è ottima: le proprietà dell’acqua del Serino sono eccellenti e lo dicono anche le analisi più moderne. D’altronde, gli antichi romani erano dei veri intenditori e l’acquedotto originale fu costruito da loro circa due millenni fa.
Lo studio del dottor Keys, d’altro canto, cercò di capire le ragioni dell’insolita quantità di ultracentenari e del bassissimo tasso di malattie in Campania. Lo studio partì a Napoli e poi si concentrò sul Cilento, terra non contaminata dallo sviluppo urbano e dalle poco sane routine di vita di una metropoli.
La conclusione fu la produzione del libro “Dieta Mediterranea”, che dimostrò come una dieta adeguata e un clima corretto sono la migliore medicina naturale. Keys visse assieme alla moglie in Cilento e morì a 100 anni dimostrando che, in fondo, non aveva tutti i torti.
(Il loro libro, “La Dieta Mediterranea”, è su questo link)
Insomma: a Napoli e dintorni non era nello specifico l’aria ad essere miracolosa, ma più in generale c’era la possibilità di godere di una buona qualità della vita. A patto di non mangiare soffritto e pizze fritte tutti i giorni!
A Roma, quando si hanno quei mali che non vi mettono a letto con la febbre, ma che strascinano senza carattere preciso, la panacea è sempre: “Provi l’aria di Napoli”.
Massimo D’Azeglio, i miei ricordi, capitolo 28
Gli ospedali di Napoli e la zona collinare
L’idea di usare l’aria pura della zona collinare per ospitare ospedali arrivò solo nel 1884, in occasione dell’epidemia di colera a Napoli. Il primo ospedale fu infatti proprio il Cotugno, che all’epoca dell’inaugurazione si trovava in una posizione diversa da quella attuale. Poco più in basso, nella Sanità, il commissario Giuseppe Buonomo sfruttò il futuro Convitto Pontano alla Conocchia per creare il più grande ospedale per i colerosi di Napoli, sfruttando il luogo isolato per non creare occasioni di contagio.
Dovremo aspettare il ventennio fascista per vedere il progetto di costruzione sulle colline di Napoli, che diventarono la moderna Zona Ospedaliera. Il mito dell’aria di Napoli non era infatti stato minimamente scalfito e nelle ricette degli anni ’20 e ’30 si consigliava ancora la permanenza sulle colline della città in caso di problemi respiratori.
Furono costruiti quindi i grandi ospedali che ancora oggi sono protagonisti della sanità campana: il Cardarelli inizialmente doveva essere chiamato “23 marzo”, giorno della fondazione dei fasci di combattimento. Poi arrivarono il Monaldi e il Pascale. Trent’anni dopo fu completato anche il Cotugno e infine fu inaugurata l’immensa cittadella del Policlinico. La ragione, come sempre, non era diversa dal passato: le colline della città garantivano un’aria pura, ben diversa da quella che respiravano ospedali come gli Incurabili o il Pellegrini, erano facili da raggiungere in automobile e c’erano immensi spazi vergini da sfruttare per creare strutture a misura d’uomo. O meglio: a misura di ammalato.
Massimo D’Azeglio e l’aria di Napoli
Massimo d’Azeglio raccontò nel suo libro “i miei ricordi” un episodio legato a Napoli. Fu un testo che scrisse da anziano e che volle dedicare ai giovani, raccontando le sue esperienze quando a vent’anni sognava di diventare un pittore famoso e visse fra Roma e dintorni.
Fra queste avventure c’è il suo viaggio a Napoli, che fu prescritto da un medico romano. Il giovane D’Azeglio soffriva di una malattia cronica e spesso gli venivano forti attacchi di tosse, tanto da non respirare. Nessuno riusciva a diagnosticarla e, con una buona dose di speranza, il medico consigliò al nobile piemontese di andare a Napoli per curarsi.
Giunto a Napoli in piena estate nel 1836, però, il buon ragazzo cominciò a sentirsi ancora più male per il caldo eccessivo dell’agosto napoletano. Il medico curante allora gli consigliò di rimanere fino all’inverno in città.
La permanenza fu però caratterizzata da un’infinità di episodi sfortunati: mentre era su una nave in direzione Sorrento si abbatté una ferocissima tempesta, che rischiò di uccidere tutti i presenti. Infreddolito, bagnato e ancora più ammalato, D’Azeglio fu anche costretto a tornare a Napoli via terra.
Cambiò allora alloggio, andando a vivere a Vico D’Afflitto, dalle parti dei Quartieri Spagnoli. Scoprì troppo tardi di essersi trasferito vicino ad una casa da gioco abusiva che non gli dava pace di giorno e di notte, fra schiamazzi, liti e bari. Ed anche i suoi coinquilini, amici di Roma, si davano alla pazza gioia fra feste e giochi d’azzardo.
Insomma, la permanenza in città più che l’aria di Napoli, per il buon D’Azeglio, non fu proprio una buona esperienza. E nel suo romanzo autobiografico concluse il capitolo dicendo che “il medico o era un grand’asino o un gran birbo. E tornai a Roma più ammalato di prima“.
Oggi l’aria di Napoli non è certamente più quella leggendaria celebrata dagli autori di secoli fa. L’area collinare, specialmente il Vomero, ormai è stato affogato completamente dal cemento mentre gli ultimi pini secolari dei Colli Aminei, uno dietro l’altro, cadono per terra fra scarsa manutenzione ed eventi climatici estremi.
Una piccola parte della Storia di Napoli è però rimasta intatta: il Bosco di Capodimonte che, con il suo fascino antico, è rimasto l’ultimo polmone verde nel cuore di Napoli.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti e link per acquisto libri:
Massimo D’Azeglio, I miei ricordi
Frank M. Snowden, Naples at the time of Cholera
P.S.
L’”aria di Napoli” ha addirittura un sito web ufficiale, ma è a fini di marketing: www.ariadinapoli.it