Via degli Incarnati oggi sembra una strada come tante, in cui scivolare distrattamente mentre si passa in quell’intreccio di cemento nuovo e basolato vesuviano dell’Arenaccia. Un tempo, però, era considerata una sorta di “città del vizio” napoletana. Tant’è vero che si diceva “Pensa di stare agli incarnati!” quando una persona si comportava in modo corrotto e immorale senza curarsi dell’opinione degli altri.
Un debito di gioco
L’origine del nome deriva, con una coincidenza perfetta, da un debito di gioco. Erano i tempi di Ferrante I d’Aragona, un re che aveva un vero problema con il gioco d’azzardo: Summonte racconta che il sovrano aragonese, quand’era giovane, era capace di scialacquare in una notte somme colossali in scommesse e giochi.
In una notte di inizio ‘400 il fortunato creditore del Duca di Calabria (non era ancora re) fu un tale Fabio Incarnao (poi storpiato in incarnato) che doveva ricevere come vincita circa 700 scudi d’oro, una cifra enorme. Ferrante decise quindi di liquidare la cosa versando parte dei soldi e donando un terreno molto ampio (50 moggi) in una zona non coltivata e circondata da molti corsi d’acqua, che oggi sono stati tombati.
Fu così che, ricco e soddisfatto, il buon Fabio decise di costruire una villa con giardini immensi e fontane in ogni dove, che presto diventò una sede per feste sfrenate, banchetti e ogni sorta di vizio.
Via degli Incarnati, la terra dei vizi
Dopo la morte di Fabio Incarnato, gli eredi decisero di aprire parte dei giardini per garantire una via d’accesso alla villa di Poggio Reale: ecco che nasce l’attuale tracciato di Via degli Incarnati.
La villa, invece, cominciò ad ospitare feste sempre più grandiose e licenziose, ospitando prostitute, banchetti che duravano per notti intere, stanze in cui si giocava d’azzardo ai giochi più amati del popolo.
Celano lo definì “un laido lupanare” e Salvatore Di Giacomo spiegò, nella sua Guida ai Dodici Quartieri di Napoli, che la strada diventò anche sede della famosa Taverna del Crispano, uno dei luoghi più malfamati della città.
Ed oggi, di quell’antica Via degli Incarnati, casa dei vizi e della perdizione, c’è solo una lapide muta che ricorda storie dimenticate sotto il tufo e il cemento di anonimi palazzi gialli.
-Chiara Sarracino
Riferimenti:
Romualdo Marrone, Le strade di Napoli, Newton Compton, Roma
Gino Doria, Le strade di Napoli,
Giovanni Antonio Summonte, Historia del Regno di Napoli e della città, Antonio Bulifon, 1671
Carlo Celano, Notizie del bello dell’antico e del curioso sulla città di Napoli, edizioni dell’Anticaglia, 1856
Salvatore Di Giacomo, I dodici Quartieri di Napoli, 1913