Un oggetto per tramortirli e un coltello da cucina per sgozzarli. Di questo si servì  l’assassino, tutt’ora sconosciuto, per sterminare la famiglia Santangelo nella notte tra il 30 e il 31 ottobre del 1975 in quella che si ricorda come la strage di via Caravaggio. I corpi del 54enne Domenico Santangelo, della sua seconda moglie Gemma Cenname (50 anni) e della figlia di primo letto di lui, la 19enne Angela Santangelo, furono però scoperti, in avanzato stato di decomposizione, soltanto una settimana dopo, l’8 novembre di 49 anni fa. Persino il cagnolino di casa, uno Yorkshire terrier di nome Dick, non ebbe scampo: fu soffocato con una coperta.  

Cosa accadde la notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975

I Santangelo vivevano nell’appartamento al quarto piano del civico 78 di via Michelangelo da Caravaggio, nella parte alta del quartiere di Fuorigrotta. Lui era rappresentante di commercio, dopo una carriera da Capitano di lungo corso della marina mercantile e una parentesi come amministratore condominiale del Rione Lauro. La moglie, Gemma Cenname, era insegnane e ostetrica,  mentre la giovanissima Angela era impiegata all’Inam, il mussoliniano Istituto nazionale per l’assicurazione contro le malattie sciolto due anni dopo, nel 1977.

L’8 novembre è Mario Zarrelli, nipote di Gemma, a dare l’allarme: da giorni non ha notizie della zia e chiede l’intervento della polizia. Quando arrivano sul posto, gli agenti della volante trovano porta e finestre ben chiuse, il contatore della corrente staccato e, dal garage, manca l’auto di Domenico, una Lancia Fulvia color amaranto. Saranno i Vigili del Fuoco ad entrare in casa, calandosi dal piano superiore, dopo aver rotto il vetro di una finestra della casa.

Il teatro della mattanza

La scena è raccapricciante: sul pavimento le scie di sangue lasciate dal trascinamento dei corpi di Domenico e Gemma nella vasca da bagno e, con loro, il cagnolino. Angela, invece, è avvolta in un lenzuolo, appoggiata sul letto. Appare subito chiaro che gli omicidi siano avvenuti in diversi ambienti della casa. Ma perché darsi la pena di spostare i corpi di Domenico e Gemma? Dalla borsetta della donna manca del denaro e la pistola di Santangelo è sparita: altri perché senza risposta. E, infine, il più inquietante tra tutti i perché: manca il movente. L’ipotesi della rapina finita male non regge e di un particolare gli investigatori sono certi: le vittime conoscevano il loro assassino.

Indagini e prove indiziarie: Domenico Zarrelli a processo

Nel 1975 gli strumenti a disposizione degli investigatori sono primordiali e non c’è modo di rilevare eventuali tracce biologiche lasciate dall’assassino. La scientifica riesce a isolare, da una bottiglia di whisky e da una di brandy trovate nello studio di Domenico Santangelo,  una serie di impronte digitali. Ci sono anche impronte di scarpe, numero 42 – presumibilmente maschili, dunque – impresse nel sangue.

I pochi indizi e alcune testimonianze portano a Domenico Zarrelli, fratello di Mario e nipote di Gemma. Al giovane piace la bella vita, decisamente al di sopra delle proprie possibilità, è sempre alla ricerca di denaro e presenta delle ferite alla mano destra che potrebbero essere compatibili con i morsi di un cagnolino e con l’uso violento di un oggetto contundente. In più, c’è chi giura di averlo visto aggirarsi sul pianerottolo attraverso lo spioncino e di averlo visto alla guida dell’auto di Santangelo, la sera dell’omicidio: la Lancia Fulvia sarà ritrovata, poi, alla Marina, con la batteria scarica. Come se non bastasse, si ritrova una querela sporta da Gemma contro il nipote Domenico per comportamenti violenti nei suoi confronti.

L’impianto accusatorio è decisamente indiziario, ma Domenico Zarrelli viene, comunque, arrestato nel marzo del 1976 e, nel maggio del 1978, condannato in primo grado all’ergastolo. Secondo gli inquirenti, il giovane avrebbe agito in preda ad un raptus, dopo l’ennesimo rifiuto della zia a concedergli un prestito.

Nessun colpevole per la strage di via Caravaggio: Zarrelli è assolto

In carcere, Zarrelli – che si è sempre proclamato innocente, negando di essersi mai recato a casa Santangelo quella notte – studia e diventerà avvocato penalista.

Il processo di appello, nel 1981, lo vede assolto per insufficienza di prove: Zarrelli indossa scarpe numero 46 e non 42, è troppo alto per entrare agevolmente in una  Lancia Fulvia e, soprattutto, ha un alibi: la sera del delitto è al cinema, in compagnia di una donna che conferma la circostanza. Quanto ai testimoni, le loro versioni vengono puntualmente smontate, persino quella del vicino che giura di aver visto l’accusato dallo spioncino dell’ingresso. La difesa, infatti, ne dimostra l’infondatezza. La Cassazione annulla la sentenza e, nel secondo processo, Zarrelli viene assolto con formula piena e il verdetto sarà confermato dai togati della Suprema Corte nel marzo del 1985. Il collegio difensivo, intanto, suggerisce un’ipotesi plausibile: ad uccidere i Santangelo sarebbe stato un killer professionista. Il movente, continua a rimanere un mistero.  

Ormai libero, dopo aver trascorso 5 anni in carcere, Zarrelli verrà risarcito dallo Stato, nel 2006, con 1.400.000 euro per l’ingiusta detenzione.  

Nessun colpevole e armi del delitto mai ritrovate: a 10 anni dalla mattanza di via Caravaggio, ancora si cerca di dare un nome all’assassino e di scoprire il movente. E tutto rimarrà così fino all’ottobre del 2011, finché il procuratore aggiunto recupera i reperti originali del caso, ormai dimenticati, negli archivi del Tribunale e decide di sottoporli a nuove analisi.

Caso riaperto nel 2011 e richiuso nel 2015: il mistero irrisolto di via Caravaggio

Tra le prove rispolverate – fortunatamente ancora molto ben conservate – , ci sono un bicchiere, dei mozziconi di sigaretta e un asciugamano sporco di sangue. La scientifica identifica almeno tre DNA estranei, incompatibili con quello delle vittime. Ma è solo nel 2014 che il laboratorio certifica che le tracce biologiche sui mozziconi di sigaretta e su un pezzo di strofinaccio appartengono a Domenico Zarrelli. La legge, però, non consente di processare un imputato per un reato per cui sia stato precedentemente assolto.

Quindi, in base alla formula “ne bis in idem”, Domenico Zarrelli è, ormai, intoccabile, anche se dovesse confessare pubblicamente l’assassinio della famiglia Santangelo. La storia della strage di via Caravaggio e l’enigma irrisolto dell’omicidio della famiglia Santangelo.

Indizi, un sospetto, nessun colpevole

Nel 2015, la procura di Napoli chiede l’archiviazione delle nuove indagini: la strage di via Caravaggio è destinata a rimanere uno dei tanti misteri irrisolti. Niente arma del delitto, niente movente e, soprattutto, nessun colpevole.

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