Se oggi ci arrabbiamo per le tante fake news mediche pubblicate su qualche blog amatoriale di santoni che promettono chissà quali cure o verità miracolose, siamo semplicemente incappati nella versione 3.0 degli inciarmatori. In napoletano, ‘nciarmatore.
Erano figure molto note in tutta la Campania, anche se la zona beneventana deteneva il primato di queste figure dai tratti quasi sciamanici che, in fin dei conti, erano truffatori che si fingevano medici sfruttando la credulità del popolo. C’era anche la versione femminile, l’occhiarola: si trattava di una donna che eseguiva complessi rituali per verificare se qualcuno aveva lanciato il malocchio sulla casa, sulla famiglia o anche su un singolo oggetto.
Insomma, la dimostrazione che il mondo non cambia mai. Si evolvono solo i mezzi sui quali costruiamo i nostri schemi sociali eternamente uguali, irrazionali e bizzarri.
Il popolo meridionale diviso fra fantasia, occulto e metafisica
È doverosa una piccola introduzione, in quanto è molto complesso scendere nell’animo napoletano e toccare tasti così delicati come il rapporto tra realtà e credenze immateriali. La Campania, d’altronde, è da sempre stata terra a metà fra il vero e il metafisico, in cui ogni luogo è associato a leggende popolari fantasiose e simboliche allo stesso tempo. Accanto ad un animo profondamente filosofico, quello che poi ha dato origine ai misteri della scuola egizia, ai Sansevero e alla massoneria napoletana, c’è un livello popolare fatto di aneddoti, racconti, superstizioni e personaggi famosi.
Esattamente in mezzo a questo sottilissimo limine fra vero e irreale si muovono da secoli figure grigie: alcuni sono truffatori, altre volte sono davvero convinti dei propri poteri sovrannaturali, altre volte persone strane finite nella fantasia popolare a loro insaputa. Ecco allora a Salerno il mago Pietro Barliario, a Napoli la mistica Eusapia Palladino e a Benevento le figure di maghi e streghe, alimentate anche dalla presenza della Chiesa in città. Oppure ancora pensiamo agli assistiti, ai valori esoterici delle carte, alle storie di fantasia che sono finiti nei nomi delle strade. Ogni cosa in questa terra ha tanti, tantissimi valori e chiavi di lettura.
Ma arriviamo agli inciarmatori: erano molto famosi nelle realtà di paese (poi si diffusero anche nei capoluoghi, specialmente Benevento, Avellino e Caserta), erano richiestissimi dal popolo dei contadini e delle persone più ignoranti, terrorizzato dai medici (ed è ironico pensare che a Salerno è nata la prima scuola di medicina del mondo occidentale, e quella sannita è una delle scuole mediche più autorevoli d’Italia).
Questi santoni proponevano bizzarri rituali, altre volte pozioni, altre volte ancora emanavano vaticini non diversi da quelli che si leggono nelle versioni di greco e latino, con la differenza che le loro erano figure pacificamente accettate dal popolo fino agli anni ’50 del secolo scorso.
De Blasio suppone che il successo degli inciarmatori sia dovuto al fatto che, pur essendo dei ciarlatani e spesso le loro cure non sortivano alcun effetto, sfruttavano bene le suggestioni del popolo e “parlavano la loro lingua“, rispetto al medico che era una persona chiaramente di cultura più elevata ed era visto con diffidenza.
Caro combà Pietro,
La lettera di uno ‘nciarmatore
Aggio saputo da Nunziatella la figlia di Tomaso che la tua figlia Cungettella sta ammalata e che tu pe te luvà nu scrupolo dalla cuscienza la vuliva far osservare pure da me Io non poso venire perché una muzzecatura de scarpa all’uosso pizzillo non mi pote far camminare. Io da quello che marraccundato Nunziatella subbito aggio capito che figlieta tene la febbra verminosa.
Chello che ti raccomando è di lassare tutte le medicine che ti scrive quel f…(insulti censurati) di medico. Perché un’altra vota la figlia di combà Cosimo, pe se piglià certe pinnulille, se stava abbiando pe lo campo (stava per morire, ndr). Lassa tutte le medicine e invece accaccia la lerva che ti manno, fanne na pezzettella e ce la metti coppa al mellicuro e vedi che passa subito bona. Se po vuoi che io venisse, allora mandami a piglià colla vettura.
Tuo combare, Filippo
Guardia Sanframondi, 8 settembre 1891
Gli inciarmatori, fra pseudomedicina e truffe
Ancora oggi la parola “‘nciarmare” esiste nel parlato napoletano di tutti i giorni. Originariamente si riferiva all’attività di “fare stregonerie, giochi di prestigio“, mentre oggi si applica più genericamente a tutte le attività losche che si stanno realizzando vicino a un oggetto o con altre persone. Viene dal francese “charmer“, che significa appunto “incantare, affascinare“.
Abele De Blasio spiega che questa figura ha origini antichissime: sin dai tempi degli antichi greci sono spesso citati. In tal proposito, ad esempio, ci sono degli editti dell’Imperatore Costantino che vietano la divinazione e la creazione di talismani e pozioni da parte di finti maghi e guaritori, con pene severissime che vanno fino alla morte, oltre alla confisca dei beni. Anche nelle commedie di Scarpetta c’è la figura dello ‘nciarmatore, dimostrando la diffusione della figura in tutto il territorio campano.
Non c’era una abilità o un requisito per entrare a far parte della categoria: gli inciarmatori erano figure note per delle abilità curative miracolose, che preparavano intrugli o pozioni, altre volte consigliavano di recitare filastrocche o fare bizzarri rituali per superare dolori e malattie. E il loro consenso popolare li rendeva famosissimi, tanto da essere a volte chiamati anche presso le case nobiliari. De Blasio racconta che questi santoni semianalfabeti erano accolti nelle case del popolo con fare quasi religioso. Spesso dispensavano consigli sulla medicina, davano opinioni e sentenze che, comprensibili alle orecchie di chi non aveva studiato, avevano un valore sacro. Per lo più, in realtà, erano eccellenti affabulatori.
D’altronde, nella somma ignoranza e semplicità di certe persone, si credeva che i medici lavorassero per non far guarire le persone, altrimenti sarebbero rimasti tutti senza lavoro. Non dimentichiamo anche che i trattamenti dei secoli passati erano tutt’altro che teneri, spesso con salassi, medicine costosissime oppure operazioni dolorosissime. Insomma, molto meglio affidarsi a qualche effetto placebo. E se il paziente moriva, evidentemente era la volontà del buon Dio.
Alcune cure degli inciarmatori erano codificate, come la “nolarchia” (l’itterizia), che si curava con un decotto di ceci neri misti a polvere di mattoni vecchi. Oppure la bronchite, curata con unghie di cavallo incenerite e spalmate sul petto del malato.
Femmena ‘ngrata, omo benigno
Una filastrocca da ripetere per tre volte toccandosi il dente ammalato con una paglietta di grano ogni mattina, fa passare il mal di denti
Sott’acqua e sotto ligno
Ha ditto Dio Potente
Che se ne iesse lu male ‘e dente
Le occhiarole per capire se si è soggetti al malocchio
La versione femminile degli inciarmatori era rappresentata dalle occhiaiuole, che invece facevano leva su un altro tipo di credenza popolare, ovvero il malocchio.
Anche in questo caso De Blasio riferisce uno di questi rituali per valutare se una persona ammalata è in quelle condizioni a causa del malocchio: l’occhiarola riempie un piatto di acqua e lo passa per tre volte sulla testa dell’ammalato. Poi versa alcune gocce di olio nell’acqua: se le gocce rimangono al centro del piatto, il malocchio non c’è. Se invece si disperdono, allora la persona è certamente jettata e bisogna immediatamente passare alla purificazione della persona che ha avuto la maledizione.
Il loro pagamento per gli esorcismi consisteva in prodotti della terra o pochi spiccioli e si facevano pagare addirittura più dei medici di ruolo proprio perché erano percepiti come personaggi risolutivi di un problema.
Se, dall’alto della nostra “superiorità tecnologica” del nostro smartphone ci consideriamo lontani da queste storie passate, abbiamo ben poco da ridere: abbiamo solo scoperto che l’importanza del marketing e il culto del truffatore di turno si evolvono semplicemente insieme a noi.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Abele De Blasio, Inciarmatori, maghi e streghe beneventane, Luigi Pierro, Napoli, 1900
Francesco De Bourcard, Usi e costumi dei Napoletani, Polaris, La Spezia, 1990
Lucio De Giovanni, l’imperatore Costantino e il mondo pagano, D’Auria, Napoli, 2004
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