“La regina delle pizze”. Così è soprannominata la Margherita, considerata in tutto il mondo la pizza per eccellenza. Tanta fama, però, è accompagnata da una storia difficile da ricostruire, addirittura partendo dall’origine della parola, che è probabilmente di origine barbara.

Va prima sfatata la leggenda più famosa: molti pensano che la pizza Margherita sia stata inventata per omaggiare la moglie di Umberto I di Savoia. Falso.
Nonostante siano arrivate tantissime smentite storiche, spesso è una leggenda ostinatamente diffusa da carta stampata, siti web e persino associazioni di categoria che cercano di creare un legame patriottico con quei colori bianco, rosso e verde che caratterizzano la pizza. C’è addirittura una targa a Via Chiaia che racconta questa vicenda dalla storia molto dubbia.

Margherita lavorazione
Una margherita in fase di realizzazione. Il pomodoro sulla pizza è usato a partire dal ‘700

Il nome della pizza Margherita, pioniere del marketing

Ricostruiamo allora la storia più famosa: il 21 maggio 1889 il re Umberto I e la regina Margherita di Savoia si recarono a Napoli e soggiornarono alla reggia di Capodimonte. Ma il suo status regale non le permetteva certo di recarsi in pizzeria, per cui venne convocato un pizzaiolo a corte.

Il pizzaiolo si chiamava Raffaele Esposito. Alcuni dicono che la scelta ricadde su di lui perché era il pizzaiolo più famoso di Napoli. Altri dicono che Esposito ci aveva visto lungo chiamando la sua pizzeria “Regina d’Italia”, quasi come se avesse previsto una futura visita dei coniugi reali, per ingraziarseli. D’altronde, Umberto I di Savoia era particolarmente legato alla città di Napoli e la visitò molte volte durante il suo regno: era solo una questione di tempo. Memorabile fu la sua visita in occasione dell’epidemia di colera del 1884.
Il pizzaiolo aveva rilevato nel 1883 la famosa pizzeria a salita Sant’Anna di Palazzo chiamata “Pietro… e basta così”, appartenuta al pizzaiolo Pietro Colicchio, per poi cambiarle nome, con un’astuta mossa di marketing.

Esposito si recò alla reggia con la moglie Maria Giovanna Brandi, anche lei figlia di pizzaioli. Lì cucinò tre pizze che presentò alla regina: una con olio, formaggio e basilico (versione rivisitata della mastunicola, la pizza più famosa all’epoca); un’altra con i cecenielli; e un’altra ancora con pomodoro e mozzarella, a cui la moglie aggiunse una foglia di basilico. Pare che la regina apprezzò particolarmente quest’ultima per il sapore, ma soprattutto per i colori che le ricordavano la bandiera italiana. Incuriosita, chiese come si chiama, ed Esposito annunciò “Margherita”, in suo onore.

Il giorno dopo Camillo Galli, capo dei servizi di tavola della Real Casa, inviò a Esposito una nota di ringraziamento da parte della regina. Quella nota è ancora oggi appesa al muro, incorniciata e con tanto di sigillo reale, nella pizzeria che oggi chiamiamo Brandi, rilevata negli anni ‘30 dai figli del cognato di Esposito.

Targa pizza margherita Brandi
La targa sulla Pizzeria Brandi

La ricetta della Margherita già esisteva da tempo

Un passaggio tratto dall’opera “Usi e Costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, curata da Francesco de Bourcard. Nel capitolo “Il pizzajolo“, scritto dal filologo napoletano Emmanuele Rocco, c’è un elenco di ingredienti che di solito si aggiungono a pizze condite con strutto, formaggio e basilico (la mastunicola, sempre): “[si aggiungono] delle sottili fette di mozzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, pomidoro, arselle, ecc.”.

Pomodoro e mozzarella quindi appaiono già in abbinamento al formaggio grattugiato e al basilico, ma si tratta di abbinamenti casuali. L’antesignana della Margherita sarebbe stata una pizza come tante altre. Anzi, proseguendo nella lettura del Rocco, sembrerebbe che non fosse neanche così richiesta: il capitolo elenca gli ingredienti più comuni nella linea del pizzaiolo, e il pomodoro non figura, nonostante fosse già presente nella cucina partenopea da oltre un secolo. E Ferdinando IV ne andava ghiotto.

Esiste, inoltre, il Regolamento della Commissione Europea accreditante l’inserimento della pizza napoletana nell’elenco delle specialità STG italiane. Il regolamento è stato approvato nel 2010 e si legge che “Le pizze più popolari e famose a Napoli erano la «marinara», nata nel 1734, e la margherita, del 1796-1810, che venne offerta alla regina d’Italia in visita a Napoli nel 1889 proprio per il colore dei suoi condimenti (pomodoro, mozzarella e basilico) che ricordano la bandiera dell’Italia.”.

La data di nascita della pizza Margherita viene quindi fatta risalire a quasi un secolo prima. Ma da cosa si è ricavato questo lasso di tempo?

Lo spiega Antonio Pace, presidente dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, una delle due associazioni (l’altra è l’Associazione Pizzaioli Napoletani) che ha stilato il testo presentato alla UE.

Pace rimanderebbe alla fonte più antica che sia stata trovata della rappresentazione di una pizza Margherita, che sarebbe quella di un acquerello dell’epoca battuto all’asta da Sotheby’s. Purtroppo non siamo stati capaci di trovare ulteriori informazioni in merito. Ma Pace specifica comunque che si tratta solo di una raffigurazione, e il nome Margherita non lo troviamo accreditato da nessuna parte all’epoca.

Sarebbe quindi davvero di Raffaele Esposito il merito di aver popolarizzato quel particolare abbinamento intitolandolo alla regina e favorire così le vendite della pizza più famosa.

Margherita infornata
Una foto che emette il profumo della pizza appena sfornata. Fotografo Federico Quagliuolo

Fra storie vere e inventate

Ma è proprio così? Un articolo di BBC Food risalente al 2012 mette in dubbio l’intera vicenda del pizzaiolo convocato a palazzo, notando diverse incongruenze nelle fonti storiche. L’articolo è in realtà la sintesi di un’approfondita ricerca documentata realizzata dallo storico del cibo americano Zachary Novak, direttore associato del The Umbra Institute di Perugia.

Prima di tutto, l’unico Raffaele Esposito che a Napoli abbia mai ricevuto un sigillo reale per un’attività era legato a un negozio di vini, nel 1871, e non a una pizzeria. È vero che Antonio Mattozzi, nel suo libro “Una storia napoletana” ci dice che effettivamente Esposito, presa l’originale pizzeria di Pietro Colicchio, avesse dichiarato alle autorità amministrative che aveva una “pizzeria con vendita di vino”. Ma, come abbiamo detto, questo avvenne nel 1883.

Ma le prove più evidenti sono nella lettera stessa. A quanto pare, negli archivi della Reggia, non ci sono prove che quel giorno sia stata spedita alcuna lettera dal ciambellano di corte Camillo Galli, né a nessun Raffaele Esposito.

Non solo, ma l’intera lettera è stata scritta a mano, intestazione compresa, e il sigillo di corte è stato apposto come fosse un timbro. Ma la casata reale aveva la sua carta intestata, con il sigillo stampato in alto a sinistra. Sigillo che, tra l’altro, appare anche differente da quello apposto sulla presunta lettera di ringraziamento.

Lettera Brandi Pizza Margherita
La lettera esposta da Brandi nel proprio locale

Novak ce lo dimostra mettendo a raffronto una vera lettera inviata da Camillo Galli dal palazzo reale di Milano dove è evidente che la calligrafia e la firma sono totalmente diverse da quella esposta alla pizzeria Brandi.

Il ricercatore immagina che quella lettera sia un falso storico creato ad arte dai fratelli Brandi negli anni ‘30 per rinverdire la fama di una pizzeria che stava subendo la depressione economica e la concorrenza di pizzerie più famose (come la celebre Pizzeria Port’Alba, meta di intellettuali dell’epoca). Legando la fama della regina Margherita al nome del loro zio acquisito, e di conseguenza all’invenzione della pizza, avrebbero così attirato una nuova clientela di curiosi.

Ma, nonostante l’accurato lavoro di debunking, un’ipotesi del genere potrebbe essere scartata per un semplice motivo: la lettera, vera o falsa che sia, non menziona la famosa pizza in alcun modo. Infatti il presunto Galli scrive semplicemente: “Le confermo che le tre qualità di pizza da lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime!senza riportare gli ingredienti.

Margherita “a ruota di carro”, “Il Tempio della Pizza”: abbiamo anche bisogno di dirvi il nome di chi ha realizzato questo capolavoro? foto di Giuseppe A. d’Angelo

Ma quand’è, allora, che la pizza Margherita comincia a prendere questo nome?

Il giornalista Tommaso Esposito ci fa notare che i ricettari del passato non utilizzavano mai nomi di fantasia per i loro piatti ma solo la lista degli ingredienti (unica eccezione, il manuale di cucina di Vincenzo Corrado), e che quindi non possediamo fonti scritte di pizze intitolate con il nome di Margherita (ma anche di Marinara, o altro) fino al secondo dopoguerra.

Nel libro “‘A Pizza, viaggio nella canzone napoletana”, Esposito ha raccolto testi di canzoni sulla pizza e i pizzaioli dal ‘500 fino al ‘66, con la celeberrima ‘A Pizza di Giorgio Gaber e Aurelio Fierro. In nessuno di questi appare il nome di una pizza, ma solo degli ingredienti di tanto in tanto.

Lo studioso ci mostra inoltre diverse guide risalenti a cavallo tra le due guerre, dove si parla di pizza napoletana e ci si aspetterebbe di veder comparire almeno un nome. Ad esempio nella Guida Gastronomica d’Italia, del 1931, si descrive così la pizza:

“è la specialità più nota e caratteristica della cucina napolitana, per le quali vanno celebri le pizzerie, che da Napoli hanno dilagato in molte altre città nostre. Essa consiste essenzialmente di una larga torta circolare, spessa di mezzo centimetro, di pasta di pane lievitata, alla superficie della quale è colato dell’olio, e su cui si dispongono vari ingredienti, quali mozzarella, pomodoro, acciughe, funghi a seconda dei gusti, oltre a dell’origano come aromatizzante. La pizza vien cotta al forno servita caldissima”.

La guida fu redatta dal Touring Club durante il regno dei Savoia. Esposito fa notare che è alquanto strano che le istituzioni culturali del tempo non ne avessero approfittato per decantare le lodi di una pizza dal nome di Margherita intitolata alla famosa regina, e rendere così omaggio ai regnanti.

I nomi abbinati alle pizze avrebbero fatto la loro comparsa solo con i primi menù apparsi nelle pizzerie probabilmente verso la fine della Seconda Guerra Mondiale. Una testimonianza è questo della pizzeria Da Attilio alla Pignasecca, che secondo la data scritta a penna, risalirebbe al 1944.

Il menù riporta i nomi delle pizze, ma non i loro ingredienti. Da notare che la “pizza alla Margherita” non è ancora elencata in cima, come lo sarebbe oggi insieme alla Marinara quali le due pizze per eccellenza. E non possiamo effettivamente sapere se fosse la stessa Margherita che mangiamo oggi, come spieghiamo più avanti.

Lo stesso Antonio Pace, appartenente alla famiglia di pizzaioli che possedeva la pizzeria Ciro a Santa Brigida, ci racconta che nel ‘64 venne organizzato il primo campionato della pizza alla Mostra d’Oltremare, e ricorda di pizzaioli che andavano in giro offrendo una Margherita con mozzerella e pomodoro, facendo effettivamente risalire la prima denominazione di quel tipo di pizza a quegli anni.

pizza a portafoglio
Pizze a portafoglio vendute per strada, anni ’60

La pizza in televisione

Probabilmente, la testimonianza più antica di una pizza di quel tipo chiamata col nome di Margherita è in questo servizio RAI sulla pizza napoletana del 1967.
Un giornalista napoletano chiede al pizzaiolo se è vero che la pizza Margherita è quella “con l’uovo al centro”. Il pizzaiolo risponde “non mi risulta, la pizza Margherita che mi hanno insegnato è sempre stata quella con pomodoro, mozzarella e basilico” (dando a intendere che venisse chiamata con quel nome anche anni addietro).

Sembra poco plausibile che negli anni ’60 un giornalista di Napoli non conoscesse gli ingredienti della Margherita classica. Ma c’è di più: il pizzaiolo aggiunge “esiste una pizza con l’uovo, ma non si chiama più Margherita. Questo vuol dire che una pizza con lo stesso nome venisse realizzata prima con ingredienti differenti. E in effetti una delle teorie in circolazione è che il nome Margherita derivasse da una combinazione che volesse richiamare il fiore: il giallo dell’uovo cotto, al centro, sarebbe stato il polline; le strisce di mozzarella i petali bianchi; e il basilico fresco la fogliolina del gambo.

Invece la testimonianza video più antica di una pizza potrebbe addirittura essere nel film di Totò “San Giovanni Decollato”, del 1940. Ed in effetti si nota che il cameriere porta il piatto a tavola non chiamando il nome della pizza, come si farebbe oggi, ma dicendo semplicemente “la pizza”. Ovviamente questo non basta a darci conferma sulle abitudini dell’epoca, ma è un un ulteriore indizio.

Totò che mangia una pizza in San Giovanni Decollato

Forse la risposta non la conosceremo mai e vivremo, come sempre, di partigianerie. Forse la bellezza della pizza Margherita sta proprio in quell’alone di leggenda che la circonda, e che l’ha resa famosa in tutto il mondo. Forse un giorno appariranno altre fonti che ci daranno una risposta certa. Ma una cosa la sappiamo: la pizza Margherita è senza dubbio il piatto più buono che il genio del popolo napoletano ci abbia mai regalato.

-Giuseppe A. D’Angelo, fondatore di “Pizza Dixit”, il blog sulla pizza napoletana

La storia è dedicata a Raffaella Ventre per la sua generosa donazione. Sostieni anche tu le nostre attività di ricerca!

Qui un articolo di Giuseppe su una sua personale classifica sulle pizzerie napoletane.

Bibliografia

Angelo Forgione, Made in Naples, Magenes, Milano 2013
Antonio Mattozzi, Una Storia Napoletana. Pizzerie e Pizzaioli tra Sette e Ottocento. Slow Food Editore, Bra, 2009
Tommaso Esposito, ‘A Pizza. Viaggio nella canzone napoletana. L’arca e l’arco edizioni, Nola, 2013

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