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Napoli è maestra di libertà. Lo sa bene ogni pietra delle sue strade e il suo passato può raccontarci con orgoglio storie d’indipendenza che cominciano in quei cinque secoli in cui una piccola città riuscì a resistere, indipendente, ai giganteschi regni barbarici che dominavano tutta Italia.
Questa è la storia del Ducato di Napoli, quel periodo storico ai margini dei libri di Storia, inesistente anche nell’urbanistica cittadina, che è stata in buona parte distrutta negli ultimi 150 anni. Solo una cosa è rimasta pressoché identica: la dimensione del Ducato, che era molto simile alla moderna Città Metropolitana di Napoli, con l’aggiunta di Amalfi e Gaeta.

E allora scopriamo la Napoli dell’alto Medioevo, con i suoi Sergio e Atanasio, le sue battaglie e i suoi eroi che, in una Italia trasformata in periferia d’Europa, ci racconta una bellissima storia di orgoglio e libertà.

Mappa Ducato di Napoli Bartolommeo Capasso
La mappa della Napoli Ducale nel XI secolo, opera di Bartolommeo Capasso. Da Napoli retrò.

L’ultimo giorno dell’Impero, l’ultima mano greca in Italia

L’età ducale per Napoli nacque in una data ben precisa: il 476 d.C., nel giorno della caduta definitiva dell’Impero Romano. Proprio sull’isolotto dove oggi c’è il Castel dell’Ovo, infatti, visse l’ultimo imperatore del più glorioso impero della Storia.
Se l’evento oggi è conosciuto come uno di quei momenti che spaccò la Storia in due parti, in realtà, quel giorno del V secolo fu vissuto in modo abbastanza ordinario dal popolo, che già viveva in vite quotidiane divise fra l’agricoltura, la pesca e il commercio.
Quel che è certo è che quello che venne dopo fu un vero caos: decaduti i funzionari imperiali e smantellata definitivamente la struttura dello Stato romano, i territori un tempo pacifici diventarono terre nemiche; le strade un tempo percorse da mercanti diventarono tracciati abbandonati. Le città, da secoli appartenenti allo stesso impero, diventarono parte di questo o quel regno o, diversamente, piccoli comuni indipendenti.

Dopo cinquant’anni di stasi, dalla lontana Bisanzio, oggi Istanbul, l’Imperatore Giustiniano mandò il migliore dei suoi generali per ricostruire l’antico impero d’Europa: Belisario passò anche per Napoli e, data la resistenza dei napoletani, per ripicca fece radere al suolo la città sterminando tutti i suoi cittadini. Questo accadde ben due volte e, dopo le ultime resistenze fra goti e bizantini, la città diventò un thema, ovvero una provincia governata prima dalla Sicilia e poi da Ravenna: il prmio duca fu un certo Conone, di cui non abbiamo notizie.
La città rimase formalmente alleata dell’Impero d’Oriente fino al 1139, l’anno in cui fu conquistata da Ruggero II. Nella realtà, Napoli fu praticamente indipendente sin dall’840, anno in cui fu eletto dai cittadini Sergio I, il primo duca “del popolo”. Prima, invece, era una provincia periferica dell’Impero.

Tra Sergio e Atanasio

I palazzi del potere di Napoli si trovavano sulla sommità del Colle Monterone, dove oggi sorge il convento di San Marcellino e la facoltà di scienze naturali. Il Palazzo Ducale oggi non esiste più e l’unica cosa che sopravvive di quell’antica architettura è una grossa scala che si trova nascosta alle spalle dell’Università: ai tempi dei duchi, infatti, doveva portare alla spiaggia scendendo la ripidissima scogliera.

Sant'Atanasio vescovo di Napoli
Sant’Atanasio, vescovo e Duca di Napoli. Spiega bene quanto fossero uniti e poco distinti il potere della Chiesa e quello politico

La vita al tempo del Ducato

Napoli era una città piuttosto tranquilla: era protetta da tre corsi d’acqua, il Clanis, che oggi è diventato Via Foria (c’è una piccola stradina chiamata Via Pontenuovo che testimonia l’esistenza di un ponte in quel punto!), il Sebeto che oggi è sparito sotto il Centro Direzionale e un altro ramo del fiume proveniente dai Camaldoli, che chiudeva la città dalle parti di via Toledo.

Per il resto, la città durante il Ducato era pressoché identica a quella romana: c’erano ancora le lunghissime strade consolari, rimaste senza manutenzione e in stato di completo abbandono a causa della nascita di confini fra città che prima non esistevano; l’Acquedotto del Serino riforniva ancora la città (pescava l’acqua in terre appartenenti a Benevento), e l’antica agorà era ancora caratterizzata dai templi pagani convertiti in chiese cristiane.
Nonostante le continue guerre con i saraceni (e addirittura due tentativi di conquista, per trasformare Napoli in un emirato!), i napoletani erano protagonisti di numerosissimi traffici commerciali con loro. Il Campo del Moricino era infatti un vero e proprio bazar orientale, con i mercanti che stendevano la loro migliore mercanzia su teloni ogni giorno. La posizione fortunata della città, però, non imponeva una vita da repubblica marinara come invece era quella di Amalfi: Napoli era famosa anche per la sua agricoltura ricchissima nelle campagne che oggi sono diventate una periferia industriale.

Arechi II Benevento
Arechi II, il duca di Benevento che poi si trasferì a Salerno e diede origine al periodo d’oro della città sul secondo golfo campano

Vicini di casa ingombranti

Per l’intera vita del Ducato di Napoli, la città era cinta d’assedio un anno sì e l’altro pure. Addirittura nel IX secolo i beneventani la assaltarono per cinque volte di fila dall’822 all’836: l’ultimo assedio fu talmente umiliante per i napoletani che, come trofeo, fu portato il corpo di San Gennaro di nuovo a Benevento (ci penserà Sergio I a riportarlo a Napoli, con un colpo da maestro di dipolomazia!).

I giganteschi regni longobardi, da Capua e Benevento alla più giovane Salerno, guardavano con l’acquolina in bocca quella piccola città che, ostinata, cercava di resistere con tutte le sue forze alle influenze nemiche che venivano dalle sue spalle, mentre dal mare era terrorizzata dalla minaccia degli arabi, che puntualmente saccheggiavano Ischia, Ponza e Procida.

Addirittura ci fu Gregorio IV che è ricordato per aver distrutto completamente il Castrum Lucullianum, che era una antichissima villa romana trasformata in una fortezza che sorgeva al posto dell’attuale Castel dell’Ovo: aveva infatti il timore che nella fortificazione si potessero accampare i Saraceni. Chissà che cosa avremmo visto oggi, se non ci fosse stato questo gesto!

Se poi ci chiediamo come sia possibile che il Ducato di Napoli sia sopravvissuto così tanti secoli, così piccolo e sguarnito rispetto alla potenza bellica dei barbari, dobbiamo spiegarci la sua sopravvivenza con una parola: la politica. I duchi napoletani furono infatti quasi tutti diplomatici straordinari: dalla Lega Campana, che fu la prima storica alleanza di città in Italia (Napoli fu capace di allearsi anche con le nemiche Benevento e Salerno, nella speranza di cacciar via i saraceni!), di gran lunga più antica della più famosa Lega Lombarda, all’alleanza con Gaeta e Amalfi, altri due baluardi di libertà.
Napoli strinse anche legami strettissimi e speciali con il giovane Stato Pontificio, in cerca di una protezione da Roma. Ci riuscì e per questa ragione molti duchi di Napoli furono anche cardinali: la Chiesa aveva un potere enorme in città e, in questo periodo, Napoli cominciò a sviluppare il suo legame secolare con il Vaticano.

Una ipotetica ricostruzione del Palazzo Ducale di Napoli, oggi sostituito dal convento di San Marcellino

Arrivano i normanni

La legge dei grandi numeri è implacabile. E in secoli di diplomazia e resistenza, prima o poi, l’errore strategico era solo questione di tempo: la frittata fu fatta da Sergio IV. Era l’anno 1023 e Pandolfo IV, il principe di Capua, aveva occupato Napoli con il suo esercito, dopo anni e anni di assedi provenienti da ogni parte.
L’unica soluzione per riprendere il potere, ad avviso del duca senza più un trono, fu quello di chiamare un giovane condottiero abile, scaltro e dall’aria intelligente. Si chiamava Roberto e veniva dalla lontanissima Francia con un gruppo di mercenari chiamati “normanni”, gli uomini del Nord.
D’altronde, quei barbari erano tutti uguali agli occhi dei sapienti napoletani, di stirpe greca e dalle mura inespugnabili. E fu così che, credendo di trovare un nuovo alleato, Sergio IV regalò la città di Aversa a Roberto il Guiscardo. Fu la testa di ponte per l’invasione che farà nascere il Regno delle Due Sicilie.

La storia del Ducato di Napoli andò avanti ancora per altri cent’anni, ma ormai le pressioni dall’esterno erano diventate insostenibili. Gli insospettabili normanni, guidati da Roberto, non erano affatto sempliciotti come i “vecchi” longobardi, che dopo anni di guerre, alleanze e tranelli fra Salerno, Capua e Benevento, crollarono tutti assieme come tessere di un domino.
Napoli, invece, rimaneva ancora tenacemente in piedi, con i suoi duchi che, eroicamente, strappavano tempo alla inevitabile fine di un’epoca durata quasi 600 anni. Cadeva un Sergio e il successore, con nuove alleanze, trovava un altro modo di sopravvivere a quella folla crescente di “uomini del nord” che avevano piani ben più grossi di una semplice guerra di quartiere: volevano creare la prima corona d’Italia. E Napoli era l’ultima mancante all’appello.

Ruggero II
Ruggero II d’Altavilla, il primo re di uno Stato unitario nel Sud Italia

La fine del Ducato di Napoli

Era ormai il 1130 e il Papa ancora non aveva dato la dignità di Re a nessun uomo del Sud. Anzi, da Roma arrivavano numerosi aiuti a Napoli per trasformarla in una sorta di “San Marino” del medioevo: Innocenzo II infatti voleva che Napoli fosse una repubblica indipendente e che Salerno rimanesse invece il capoluogo del regno continentale di Ruggero II.

Il futuro re di Sicilia però, non aveva la minima intenzione di lasciare il lavoro incompiuto. Invase Napoli con una flotta micidiale nel 1139, la accerchiò con un esercito, tagliò ogni via di comunicazione con l’esterno. Poi Sergio VII, l’ultimo duca, morì a soli vent’anni in battaglia nella lontana Puglia, mentre cercava di respingere un’altra ondata di normanni. Era giunta davvero la fine: i nobili napoletani andarono a Benevento per chiedere clemenza a Ruggero II: il futuro re si dimostrò gentile e chiese solo di essere accolto in città con un corteo in festa. Fu accontentato.

Nel 1140 diventò il primo Re di uno Stato del Sud Italia e, da quel momento, la moneta ufficiale di Napoli diventò il “ducato”.
Ironicamente, questa moneta rimase in vigore fino al 1861, portando nelle tasche dei napoletani un ricordo inconsapevole di tutta la loro Storia.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
L’eredità municipale del ducato di Napoli – Persée (persee.fr)
Giovanni Attinà, Il Ducato, Kairos Edizioni, Napoli, 2016
Cesare de Seta, Napoli, storia della città dalle origini, Laterza, Bari, 1973
Giovanni Antonio Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, Antonio Bulifon, Napoli, 1671

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