Quando Carlo d’Angiò sconfisse Manfredi a Benevento e conquistò il Regno di Sicilia, decise di cambiare il centro di potere del più potente Stato in Italia. Così, per la prima volta, diventò Napoli capitale. E manterrà questo titolo fino al 1861: per sei secoli sarà la città con la quale l’intera Europa dovette misurarsi, nel bene e nel male, nelle vicende storiche d’Italia.
Ma la domanda sorge spontanea: cosa spinse Re Carlo a scegliere proprio Napoli e non l’amatissima Puglia?
Federico II e l’Università: quando Napoli studiava per diventare capitale
Napoli, prima di quel fatidico giorno (di cui non sappiamo la data), già era una cittadina sulle quali si erano posate le attenzioni dei regnanti di Sicilia, che cercavano una città stabile di governo anche sul lato continentale del regno. Anche se la Puglia era la regione preferita, si scartò subito l’idea di creare qualcosa sull’Adriatico perché era un versante troppo esposto ai saraceni. Nonostante tutto, Manfredi potenziò moltissimo i porti di Salerno e della Puglia.
Ed è proprio Salerno la città con la quale Napoli contendeva il primato in Campania: i Normanni decisamente apprezzavano di più la città longobarda, mentre Federico II fu il primo a valutare un possibile sviluppo politico di Napoli. La scelta di realizzare in Campania (e non a Palermo) la prima università laica del mondo, infatti, era tutt’altro che scontata, dato che all’epoca la Sicilia era il centro della politica nazionale.
Napoli, però, scalpitava: qualche anno prima già si era ribellata a Enrico VI, il padre di Federico II. Fu assediata, ma riuscì, come sempre, a resistere. In secondo luogo, la vicina Salerno era già famosa per la sua Scuola Medica, anche se ormai in decadenza. Un’università pubblica a Napoli avrebbe oltretutto creato un centro di potere enorme proprio a due passi da Roma. E questo il Papa proprio non poteva tollerarlo.
Quella dell’Università di Napoli era il primo passo di un progetto politico molto più ampio di Federico II: l’istituzione serviva infatti ad accontentare le ambizioni dei napoletani, ma era anche un primo esperimento per creare una nuova classe dirigente proprio in riva al Golfo.
Non sapremo mai cosa aveva in mente lo Stupor Mundi perché fu fermato brutalmente, ma la strada per Napoli capitale era stata tracciata.
Le concorrenti scartate: Foggia e Salerno
La scelta di Napoli fu frutto di un ragionamento abbastanza complesso fatto dal re angioino Carlo I, sostenuto dal Papa che, in modo abbastanza chiaro, gli aveva chiesto di spostare il centro del potere in un luogo lontano dalla Sicilia e più vicino a Roma. E Carlo, che doveva l’intero suo successo politico alle decisioni dell’amico Clemente IV, di certo non poteva tirarsi indietro.
Non esistendo un atto ufficiale di designazione della capitale (d’altronde nel medioevo il concetto moderno di capitale non esisteva ancora, fatta eccezione per Roma, Costantinopoli e altre città di lunghissima tradizione), possiamo solo speculare su cosa passò per la testa di Re Carlo d’Angiò attraverso la storiografia e i testi dei suoi contemporanei. Per aggiungere difficoltà, abbiamo anche perso l’intero archivio angioino nella II Guerra Mondiale.
Le alternative sul tavolo erano poche: in Campania c’era appunto Salerno, mentre Foggia era la candidata per la Puglia, che all’epoca era la regione continentale più avanzata in termini sia economici che politici. Oltretutto la corte di Carlo d’Angiò era ricchissima di giuristi pugliesi che spingevano fortemente verso il tacco d’Italia. Pensiamo che l’intera città di Manfredonia, nonostante la fondazione avvenuta con Re Manfredi, fu completata da Carlo.
Probabilmente, se fosse stato possibile, Re Carlo sarebbe stato tentato da Benevento: era una città fortemente simbolica, antica capitale del Ducato longobardo, orgogliosa erede delle tradizioni sannite e già abituata ad essere centro di potere. C’era solo un problema: era stata restituita alla Chiesa. La cessione dei territori di Benevento rientrava infatti fra gli accordi di Papa Clemente con Carlo. Oltretutto i cittadini odiavano a morte gli angioini, almeno quelli sopravvissuti agli 8 giorni di saccheggi, violenze e devastazioni portate in città dai francesi.
Insomma, le uniche alternative rimanevano Salerno e Foggia: la prima fu scartata per due ordini di ragioni: innanzitutto era una città fedelissima a Manfredi e non solo: era anche la casa di Giovanni da Procida, l’uomo più potente della dinastia Sveva che, dopo la nomina di Napoli capitale, diventò anche protagonista dei Vespri siciliani, che tolsero l’isola proprio dalle mani di Carlo I. Il tessuto sociale della città era poi dilaniato da lotte fra famiglie nobiliari, che si dividevano fra quelle a favore degli angioini e quelle ancora legate alla tradizione antica e longobarda del Principato. Insomma, mettersi in mezzo a questo bailamme avrebbe creato solo problemi per un uomo che già ne aveva abbastanza di lotte con la nobiltà locale.
Foggia era invece la città prediletta da re Carlo: stabilì proprio lì la sua residenza e, d’altronde, morì anche nel suo palazzo foggiano. Ma l’epoca dei ducati e dei piccoli regni era finita da un pezzo: il futuro Regno di Napoli aveva bisogno del mare e la capitale di uno Stato continentale doveva essere una degna sostituta di Palermo. L’assenza del mare costrinse il sovrano a scartare la sua città preferita, nonostante le pressioni pugliesi del suo entourage. Oltretutto Foggia e Roma erano separate dagli Appennini, cosa che dispiaceva parecchio al Papa.
Ecco allora Napoli: fedelissima alla Chiesa sin dai tempi del Ducato (in passato si era anche ribellata più volte agli Svevi), con un golfo ampio e tranquillo, con un clima perfetto, infrastrutture recuperabili e risalenti all’epoca romana, una popolazione pacifica e un tessuto sociale coeso. Non di meno, la presenza di Ischia, Capri e Procida garantiva anche tre avamposti perfetti per assicurare anche il controllo dei mari. Il porto permetteva inoltre anche facili comunicazioni con la Francia, terra d’origine di Carlo, che rimase fortemente legato alla sua famiglia e in special modo al fratello Luigi IX.
Carlo I e la difficile nascita di Napoli capitale
Non fu affatto facile trasformare una graziosa e bella città di provincia, rimasta all’Alto Medioevo, in una capitale capace di rivaleggiare con il fasto e il potere di Palermo, che contava ben 300.000 abitanti ed era all’epoca l’unica città in grado di mettere paura politicamente anche a Roma.
Il nuovo Re, che aveva sconfitto Manfredi a Benevento aiutato dal voltafaccia dei nobili meridionali, non si fidava di nessuno. Era infatti uno straniero, non amava gli italiani e men che meno apprezzava la nobiltà, che considerava vigliacca, molle e traditrice. Fece piazza pulita di tutti gli avversari e instaurò un regime a dir poco militarista e dittatoriale. E non solo: smantellò l’intero sistema mercantile del Sud Italia, invitando i banchieri toscani a trasferirsi in Italia, in modo da garantirsi anche una borghesia fedele. E invece, proprio da questa scelta nacquero i primi attriti fra Napoli e i toscani che si trasformarono presto in odio.
Ci ricorda Summonte che, prima dell’arrivo degli Angioini, Napoli somigliava molto più a un Comune del centro Italia che ad una capitale di un regno: era infatti gestita collettivamente da popolo e nobiltà, senza classismi e lotte sociali. D’altronde, la Storia lo insegna, la città nei precedenti 800 anni era rimasta a capo di un piccolissimo Ducato che riuscì a resistere ai giganti longobardi e ai saraceni grazie solo alle abilità politiche dei suoi rappresentanti e ad un fortissimo senso d’orgoglio e di indipendenza dei suoi cittadini.
Insomma, il lavoro da fare per dare a Napoli i vestiti da capitale del Regno era veramente enorme. E Re Carlo partì con la costruzione di un nuovo castello dove risiedere perché il Castel Capuano “costruito alla maniera tedesca“, non gli piaceva per niente. Il Maschio Angioino infatti doveva essere il simbolo del “nuovo corso” della capitale e rimase il palazzo di governo per quasi 300 anni. Poi fece ripavimentare tutte le strade che conducevano da Napoli a Roma (non a caso), ampliò le mura della città, fece costruire un porto modernissimo e invitò tutti i nobili fedeli a trasferirsi in città.
Tolse potere ai rappresentanti del popolo con un inganno, diede privilegi enormi alla Chiesa, che giunsero intatti fino all’arrivo di Carlo di Borbone nel 1735, e lasciò il potere in mano a una ristrettissima cerchia di nobili di cui si fidava, dando origine a una casta privilegiata e intoccabile che, attraverso i Sedili, comandava nel bene e nel male ogni aspetto della città e del governo nazionale, influenzando addirittura i re con i loro complotti.
Insomma, Napoli era diventata la città a capo del più vasto regno in Italia, ma distruggendo quell’equilibrio sociale che l’aveva resa forte e speciale.
Per finire, deviò tutte le rotte commerciali su Napoli, e predispose la nascita di Piazza Mercato. A farne le spese fu proprio Salerno, che da possibile capitale diventò una provincia in declino. Amalfi crollerà poco dopo.
Napoli capitale d’Italia?
L’idea di far diventare Napoli capitale dell’Italia intera venne in mente a diverse persone, sin dai tempi dell’antica Roma. Il primo a pensarci fu addirittura Seneca, consigliere dell’Imperatore Nerone, all’indomani dell’incendio di Roma che distrusse buona parte della capitale dell’Impero.
Nerone era infatti un grandissimo amante di Napoli, che preferiva alle più ricche Baia e Puteoli, ma decise di non trasferire il governo fuori da Roma perché sarebbe stato un simbolo di debolezza. Anzi, investì un fiume infinito di denaro per farla ricostruire in tempi brevissimi.
Andiamo avanti di ben 1350 anni. Stavolta ad immaginare una capitale d’Italia ci sarà Ladislao I di Napoli. Il progetto naufragò tragicamente nel 1414, con la morte improvvisa del re proprio mentre stava per sottomettere la Toscana.
Fu il turno di Ferdinando II di Borbone: quando salì al trono, prima del 1848 era ben visto dai carbonari e rivoluzionari. Fu proposta al re di Napoli l’idea di una unificazione nazionale ma, con la solita prudenza che lo caratterizzava nelle relazioni internazionali, rispedì l’invito al mittente perché non aveva intenzione di rovinare i rapporti con Roma.
Pochi anni dopo ci troviamo a parti invertite: l’Italia era stata unita dal Piemonte e l’idea di Napoli capitale saltò in mente al Parlamento di Torino nel 1864. Roma era infatti ancora saldamente nelle mani del Papa e l’imperatore dei francesi, Napoleone III, disse esplicitamente al giovane Stato italiano che doveva tenere la sua capitale lontana dalla Francia. Alla fine fu scelta Firenze perché, stando ai consigli del generale Lamarmora, Napoli poteva facilmente essere aggredita dal mare: Francesco II, esiliato a Roma, rimaneva comunque una presenza pericolosissima.
Alla fine una minuscola rivincita storica se la prese solo Salerno: nel 1944, nel pieno della II Guerra Mondiale, diventò infatti capitale provvisoria d’Italia per sei mesi.
Chissà come sarebbe stata la Storia se, in quel lontano giorno di sette secoli fa, Re Carlo avesse scelto proprio Salerno o Foggia per governare il suo regno!
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Giovanni Antonio Summonte, Historia del regno e della città di Napoli, Antonio Bulifon, Napoli, 1671
Giuseppe Galasso, Carlo I D’Angiò e la scelta di Napoli come capitale, capitolo presente nel libro L’État angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle, Ecole Francaise de Rome, Roma, 1998
Giuseppe Galasso, Discordie cittadine nella Salerno Angioina
La scelta di Napoli come sede dell’Università | Stupor Mundi
Il Regno di Foggia – Il Mattino.it
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