Centocinquant’anni fa il promontorio di Posillipo era una immensa campagna in cui si coltivavano uva ed ortaggi, tagliato da alcune strade. Circa trecento metri più in basso sorgeva il villaggio di Fuorigrotta, un gruppo di due grandi masserie circondate da un bosco attraversato dalla Domiziana, una strada di epoca romana che portava al mare di Bagnoli, caratterizzato da una immensa spiaggia con sabbia finissima. Ecco perché l’ascensore di Posillipo-Piedigrotta fu un’opera fondamentale.
Napoli, nel frattempo, stava affrontando con atroci travagli il passaggio dal ruolo di capitale borbonica ad affollatissimo capoluogo industriale del Sud. Proprio in questo quadro storico si inserisce la storia di un piccolo ascensore che collega due zone della città oggi lontanissime.
La rivoluzione dei trasporti pubblici
Il secolo XIX stava per finire e la nuova Italia da poco unita, con il nuovo corso politico, doveva lasciare su Napoli il suo segno indelebile nella Storia dell’urbanistica della città: arrivò infatti la speculazione edilizia portata avanti dagli investimenti della Banca Tiberina, istituzione che era strettamente legata alla famiglia Savoia ed ai fatti che portarono agli scandali finanziari della Banca Romana.
Nel settore dei trasporti, invece, la Società Belga dei Tramways era praticamente monopolista nella gestione del trasporto pubblico napoletano, che poteva vantare una delle reti di tram più estese d’Italia: c’era infatti un fortissimo fermento nelle spese pubbliche e nell’urbanistica napoletana a fine ‘800 e questo favorì la costruzione e la presentazione dei più incredibili e visionari progetti, quasi tutti naufragati o resi ben più modesti nella loro realizzazione: ad esempio la famosa Funicolare di Chiaia doveva essere panoramica e completamente all’aperto, costruita su binari sospesi in aria che dovevano arrivare fino alla riviera. Poi fu proprio la Banca Tiberina, nella realizzazione del Vomero, ad aggiudicarsi anche l’appalto per la funicolare, che rese più modesta per ragioni di praticità.
Le colline di Napoli si sarebbero popolate solo dopo la Guerra: prima di allora, infatti, le zone di espansione della città erano state individuate in Fuorigrotta e Posillipo, per sfruttare l’intera zona ovest della città, che era praticamente ancora vergine: l’unico collegamento fra la città e la zona di Fuorigrotta era infatti un tunnel romano progettato e costruito da Lucio Cocceio Aucto, un architetto romano vissuto ben due millenni prima del 1884, anno in cui fu inaugurata una piccola grotta parallela alla Crypta Neapolitana, che presto fu affiancata da una terza grotta destinata solo al passaggio dei tram.
Se la mobilità da e per Fuorigrotta fu senz’altro migliorata con le tre gallerie, Posillipo rimaneva ancora isolata: l’antica Via Manzoni era impossibile da raggiungere senza lunghissimi tragitti in carrozzella o a dorso di mulo, dovendo risalire l’intera Via Posillipo da Mergellina: per questa ragione, nel 1895, la Società Belga dei Tramways costruì un oggetto modernissimo: l’ascensore di Piedigrotta.
Questa scoperta può strappare un sorriso a chi, nel III Millennio, usa l’ascensore anche per evitare una rampa di scale. Eppure a Napoli, nel 1895, l’ascensore fu accolto come un prodigio della tecnica: era stato presentato esattamente quarant’anni prima alla Esposizione Universale di New York, ma in Europa arrivò solo diversi anni dopo, a Parigi, quando fu costruita la Torre Eiffel. Nella Reggia di Caserta, invece, ne avevamo uno molto particolare: apparteneva al Re ed era il prototipo del macchinario moderno. Si chiamava “Sedia volante”.
L’ascensore di Posillipo-Piedigrotta
Con un salto dalla Torre Eiffel al tufo di Piedigrotta, l’ascensore arrivò a Napoli: era una grossa cabina dagli interni di solido legno, caratterizzata da decorazioni in ferro, vetro ed ottone, tipiche dello stile di inizio XX secolo. Il motore era inizialmente a vapore e trascinava la cabina su binari verticali. Il macchinista, rigorosamente vestito con una elegante livrea, accoglieva nella cabina massimo otto persone che, ordinatamente, prendevano posto sulle quattro poltrone presenti. Le corse erano inizialmente cadenzate ogni 10 minuti. Poi, quando furono installati i motori elettrici nel 1910, le corse furono garantite ogni 5 minuti. Era una rivoluzione della mobilità, una dimostrazione di forza della scienza che rendeva possibili e semplici degli spostamenti verticali che prima erano impossibili.
Presto diventò una attrazione turistica: l’ascensore di Piedigrotta cominciò a comparire in numerose cartoline e diventò famosa la scritta in stampatello “LIFT” incisa sul tufo della facciata della collina di Posillipo. L’ingresso all’ascensore era possibile entrando nel tunnel alla destra (quello riservato ai tram) ed accedendo ad un piccolo cancelletto, che esiste tutt’oggi all’interno del tunnel “Quattro Giornate”.
D’altronde, erano gli anni di Funiculì Funicolà, dei treni e dei tram cittadini che cambiarono per sempre la mobilità urbana, tanto da scatenare una rivolta armata dei cocchieri nel 1893 che, con una vendetta di stampo luddista, distrussero e resero inservibili i tram napoletani.
L’ascensore ebbe buone fortune nel suo funzionamento, nonostante l’area di Via Manzoni non fosse densamente popolata come oggi: i palazzi che sorgono oggi sono infatti per lo più nati negli ultimi cinquant’anni, quando l’ascensore già era sparito da tempo.
Su Via Manzoni, invece, c’era una piccola casa bianca dall’aspetto simile a quello di una baita svizzera.
La cabina salì e scese alacremente quei 125 metri di collina per poco più di trent’anni, subendo anche numerosi lavori di ammodernamento nel corso della sua vita: fu infatti dotato di un tunnel ausiliario di emergenza, soluzione davvero innovativa per l’epoca, ed aveva anche numerosi locali macchinari per controllare il corretto andamento delle macchine. Fu poi dotato di un potente motore elettrico che migliorò notevolmente la velocità di funzionamento della macchina.
Ultima corsa dell’ascensore fantasma
Nonostante il buon andamento dell’ascensore, nel 1925 l’impianto fu chiuso dal Comune di Napoli perché, probabilmente, si preferì dirottare gli investimenti sulla neonata metropolitana. Inizialmente la chiusura era prevista come un “arrivederci”, in quanto il piano regolatore del 1939 aveva già pianificato la riapertura negli anni seguenti, ma la guerra sconvolse i piani dell’amministrazione: nel 1943, durante le quattro giornate di Napoli, un gruppo di soldati tedeschi decise di far esplodere l’ascensore e la stazione di Posillipo nel timore che si nascondessero partigiani. Oggi si possono vedere le macerie ancora intatte accanto al condominio di Via Manzoni 90.
Della struttura dell’ascensore non si sa assolutamente niente: non esistono documenti ufficiali che provano che siano mai stati fatti interventi all’interno della struttura: probabilmente quindi l’ascensore fantasma si trova sospeso ancora lì, sotto i piedi di chi cammina a Via Manzoni e sopra le teste di chi percorre il tunnel che porta a Fuorigrotta.
La Storia, come spesso è accaduto, a Napoli non prese i binari giusti: nel 1929 Young si suicidò nel suo magnifico castello di Villa Ebe, lasciando in un cassetto il progetto che avrebbe potuto trasformare il quartiere Flegreo in una piccola Amsterdam. Accadde invece che la zona diventò preda dell’ILVA grazie ad una legge che regalò le bellissime spiagge di Coroglio all’industria ligure.
Posillipo, invece, fu preda della degli anni ’60, che distrusse irreversibilmente l’intero panorama di Napoli e, con i palazzi alti più di venti metri, privatizzò ogni panorama di Via Manzoni, coprendo ogni scorcio con il cemento, mentre Fuorigrotta non ebbe sorti migliori, con migliaia di metri cubi di antiche costruzioni fasciste in rovina, miste a palazzi altissimi ed anonimi.
Un ascensore sparito
Non fu più restaurato dopo la Guerra.
Nei progetti urbanistici del dopoguerra, infatti, la mobilità di Posillipo fu lasciata agli autobus di linea, alla Funicolare di Mergellina ed alla Funivia Posillipo-Fuorigrotta progettata da Vincenzo Tecchio. Ironia volle che anche la funivia venisse chiusa nel 1961 e mai più riaperta, per colpa dell’edilizia selvaggia in zona Cavalleggeri che aveva reso non più sicuro il tragitto delle cabine. Non meno fortunata fu la storia della funicolare di Mergellina, che utilizzava le stesse vetture del 1931 fino all’inizio degli anni 2000.
E così, a distanza di un secolo dalla chiusura di quell’ascensore, le strade che portano da Piedigrotta a Via Manzoni sono rimaste più o meno le stesse che percorrevano i nostri antenati.
Federico Quagliuolo
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